Liberazione, 21 marzo 2001
Le Società
Una storia dentro la “strategia della tensione”
I mille legami e segreti dell’ ex-generale responsabile dal 1971 al 1975 del Reparto D del Sid
http://www.liberazione.it/giornale/21-03mer/SOCIETA/SOC-3/MALETTI.htm

Depositario di moltissimi segreti, soprattutto relativi agli episodi più tragici e sanguinosi della strategia della tensione, Gianadelio Maletti, ex-generale di divisione, responsabile dal 1971 al 1975 del reparto D del SID (il Servizio Informazioni Difesa), è oggi un uomo di ottanta anni. Divenuto, dopo la sua fuga più di venti anni fa in Sud Africa, cittadino di quel paese, si è solo ultimamente reso disponibile ( forte di un “salvacondotto” previsto dal nostro Codice di Procedura Penale) a farsi interrogare davanti la 2° Corte d’Assise di Milano ( nell’ambito dell’ottavo processo per la strage di piazza Fontana) oltre che dai Pubblici Ministeri di Brescia che indagano sulla strage di Piazza della Loggia. L’esperienza in Grecia Figlio di un eroe della guerra d’Africa, arrivò a ricoprire la importantissima carica di numero due nella gerarchia del Sid, dopo una carriera che l’aveva visto, tra l’altro, addetto militare in Grecia nel 1967, all’epoca del colpo di Stato dei colonnelli. Circostanza questa di non poca importanza soprattutto alla luce di alcune affermazioni rilasciate recentemente, l’agosto scorso, in un’intervista al quotidiano La Repubblica, quando accusò la Cia di aver cercato in Italia di fare, alla fine degli anni ’60, “ciò che aveva fatto in Grecia”. Iscritto alla P2, pupillo di Andreotti, è stato condannato a 15 anni, l’11 marzo del 2000, per “occultamento di notizie sulla sicurezza dello Stato” relativamente alla strage davanti la Questura di Milano del 17 maggio del 1973. Nelle 400 pagine delle motivazioni, depositate dalla 5 ° Corte d’Assise, di lui si dice che “ seppe dal capitano La Bruna dei propositi di attentato a Rumor”. ”Seppe addirittura prima che tale attentato venisse perpetrato”. Non solo non parlò, ma ostacolò le indagini successive. Già “4 giorni dopo l’attentato sapeva che l’informatore “Negro” era Bertoli” ma “si preoccupò subito di non fornire elementi ai magistrati”. Venne infatti, non a caso, acquisita solo molto dopo, con decenni di ritardo la documentazione sulla collaborazione del finto anarchico Gianfranco Bertoli al servizio segreto. Stessa sorte anche per le bobine con le registrazioni di alcuni colloqui, in cui si preannunciava l’attentato, intercorsi tra il capitano La Bruna del Sid e Remo Orlandini, uno dei finanziatori dei piani golpisti che ispirarono la strage davanti la Questura. Ma Maletti aveva nel passato già accumulato più di una condanna: un anno nel 1987 ( sentenza definitiva della Cassazione) per aver offerto copertura e assicurato la fuga ad alcuni indagati per la strage del 12 dicembre 1969 (il componente della cellula di Freda Marco Pozzan e l’agente “Z” del SID, Guido Giannettini); 14 anni nel 1996 per procacciamento di notizie riservate ( un dossier su un traffico di petrolio con la Libia tesa a finanziare una scissione di destra nella Dc nel 1975), nell’ambito del processo a Licio Gielli e ai vertici della P2. Per lui furono anche chiesti 8 anni di reclusione dal PM di Venezia (sempre per “soppressione di atti concernenti la sicurezza dello Stato”) al processo per la caduta dell’aereo “Argo 16”, utilizzato dai servizi segreti italiani per viaggi ”coperti” (avvenuta a Marghera il 23 novembre 1973), nella quale morirono i quattro membri dell’equipaggio.

Il caso De Mauro Il nome di Maletti è ancora recentemente riemerso nelle rivelazioni del pentito di mafia Francesco Di Carlo come mandante dell’assassinio a Palermo del giornalista Mauro De Mauro, in procinto di rivelare i retroscena dell’imminente “golpe Borghese”. La storia di Gianadelio Maletti è con tutta evidenza parte della storia stessa del Sid. Quando nell’agosto scorso Maletti rilasciò la ormai famosa intervista a La Repubblica confermò in molti punti i risultati delle indagini condotte a Milano dal Giudice Guido Salvini. Disse: «La Cia voleva creare, attraverso la rinascita di un nazionalismo esasperato e con il contributo dell’estrema destra, Ordine Nuovo in particolare, l’arresto di questo scivolamento verso sinistra», utilizzava Ordine Nuovo «con i suoi infiltrati e con i suoi collaboratori. In varie città italiane e in alcune basi della Nato: Aviano, Napoli». «Numerosi carichi di esplosivo arrivavano dalla Germania, via Gottardo direttamente in Friuli e in Veneto …destinati a Ordine Nuovo. Anche l’esplosivo usato a Piazza Fontana proveniva da uno di questi carichi». I politici dominanti del momento «è ovvio che sapevano…A quel tempo, molti di loro, compreso il Capo dello Stato Leone, furono costretti ad accettare il gioco». Affermazioni pesantissime. Quel che è certo che Maletti, in quanto custode di tante verità della “strategia della tensione”, potrebbe finalmente squarciare molti veli. Potrebbe, attraverso le sue deposizioni, anche rendere ineludibile una richiesta formale di rimozione del “segreto Nato” sui fascicoli custoditi nelle basi in Veneto. Già nel 1996 il Giudice Salvini chiese di poter visionare quegli incartamenti. Nessun sostegno e nessuna iniziativa venne intrapresa dal nostro Governo presso il Comitato Nato a Bruxelles e la domanda rimase senza risposta. Cadde nel vuoto.

Saverio Ferrari