Il Messaggero, 2 marzo
Nella relazione inviata a San Macuto anche carte topografiche, nascondigli di armi e munizioni e possibili ”campi” per rinchiudervi prigionieri politici
http://www.ilmessaggero.it/hermes/20010302/01_NAZIONALE/PRIMO_PIANO/A.htm
di MASSIMO MARTINELLI

ROMA - L’archivio segreto del Pci esiste davvero. Sarebbe custodito nell’abitazione di un antico, fidato, dirigente comunista. Dentro ci sarebbero le prove che per oltre vent’anni il partito della falce e martello ha avuto una struttura militare clandestina, addestrata e armata, pronta a entrare in azione su tutto il territorio nazionale. Anche con finalità «offensive»: la Gladio Rossa. Lo ha scoperto il professor Gianni Donno, storico e consulente della Commissione Stragi, che ieri ha depositato nelle mani del presidente Giovanni Pellegrino una relazione dal titolo significativo: «Alle origini del terrorismo in Italia: la Gladio Rossa del Pci - 1945-1967». Da stamane il documento sarà distribuito a tutti i componenti della Commissione. Che, si prevede, ne discuteranno parecchio.

Per raccontare la nascita, la vita e il declino di questo esercito clandestino, in un arco temporale che va dal 1944 fino alla vigilia degli anni di piombo, Gianni Donno ha utilizzato ben 180 «documenti inediti», recuperati negli archivi dei paesi aderenti alla Nato, in quelli dei nostri servizi segreti e presso il Viminale. La relazione-Donno offre lo spaccato di una organizzazione che «lungi dall’essere una struttura difensiva, era invece con ogni evidenza organizzata con piani insurrezionali, che prendono in considerazione anche l’ipotesi del ribaltamento del nuovo Stato democratico». Il documento prosegue con l’elenco delle strategie scelte dalla Gladio Rossa: «La raccomandazione circa l’attivazione di campi di concentramento locali e regionali e circa le liste di proscrizione, con prelevamenti notturni, sugli avversari politici e i nemici di classe sta a dimostrare quanto la cultura della eliminazione fisica dell’avversario, attraverso la deportazione e la concentrazione, che deriva dalla lunga stagione dei totalitarismi, sia stata fatta propria anche da organizzazioni che operano in contesti pluralistici e democratici».

Una valutazione approssimativa consente di quantificare la potenza della Gladio Rossa in decine di migliaia di aderenti. A scorrere i documenti segreti depositati ieri, zeppi di nomi e cognomi, sembra di avere per le mani i piani di guerra di un esercito vero. Ecco un appunto su «Organizzazione paramilitare del Pci in provincia di Arezzo»: «....Formazioni armate: sarebbero costituite da elementi dei partiti di estrema sinistra di provata fede, segretari di sezione e di cellule, partigiani iscritti all’Anpi etc etc...la forza si aggirerebbe sui 4mila uomini, inquadrati nella divisione Arezzo su due brigate». Le finalità offensive sembrano in realtà un po' datate nel tempo. Tuttavia nella relazione (come annunciato nel titolo) prende corpo l’ipotesi che dalla Gladio Rossa sia partita la spinta insurrezionale delle Brigate Rosse. Un esempio su tutti: quello di Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, che racconta: «Alla fine degli anni Sessanta io stesso in un fienile in mezzo alla campagna, poco fuori Reggio Emilia, venni condotto in un arsenale con trenta, quaranta mitra Sten, perfettamente oleati e con caricatori in abbondanza». A suggerire spunti di riflessione per la magistratura penale, che pure in passato archiviò un’inchiesta sulla struttura, spuntano adesso alcuni documenti che raccontano come fin dagli anni Cinquanta, la Gladio Rossa fosse già in grado di infiltrare a fini di spionaggio la Presidenza del Consiglio, l’Arsenale marittimo di La Spezia e molti ministeri. Non solo: sono state ritrovate anche le liste di proscrizione su molti appartenenti alle forze dell’ordine, con le loro abitudini familiari e i luoghi di residenza. Tra i primi a commentare la relazione, il vicepresidente della Commissione Stragi, Vincenzo Manca, di Forza Italia: «Oggi abbiamo la conferma che il Pci ebbe una doppia faccia, legale ed eversiva, in cui la struttura militare non era parte a sè e spesso sconfessata dai dirigenti, ma strumento intrinseco al partito e arma di pressione continuamente ostentata verso il ceto politico dirigente e verso gli americani».