Il Messaggero, 2 marzo
Dossier alla Commissione stragi
Dal Pci al terrorismo
Ecco tutti i segreti della “Gladio rossa”
http://www.ilmessaggero.it/hermes/20010302/01_NAZIONALE/PRIMA_PAGINA/GLADIO.htm

ROMA — Un dossier di cinquecento pagine sulla "Gladio rossa" è nelle mani della Commissione Stragi: la struttura militare del Partito comunista italiano fino al 1953-54 era pronta per una rivolta armata. Nell’abitazione di un vecchio dirigente del partito un dossier con centinaia di nomi. In alcuni documenti ci sarebbero anche le "istruzioni" preparate dagli esperti militari sovietici. I collegamenti con le future Brigate rosse: armi arrivate dalla Fgci a Franceschini.



Il Messaggero, 2 marzo
PIÙ STORIA, MENO VELENI
http://www.ilmessaggero.it/hermes/20010302/01_NAZIONALE/PRIMA_PAGINA/QUAGLIAR.htm
di GAETANO QUAGLIARIELLO

A POCHI giorni dal termine della legislatura, la Commissione Stragi torna al centro delle cronache. Ieri uno dei suoi consulenti, Gianni Donno professore di Storia contemporanea all'Università di Lecce, ha consegnato un contributo sul Pci e la Gladio Rossa. Il testo è di quelli destinati a fare discutere e, a nostro avviso, a modificare alcune consolidate acquisizioni sulla storia d’Italia del secondo dopoguerra. Si tratta di un volume di oltre 500 pagine costituito da documenti compresi tra il 1945 ed il 1967 provenienti dagli archivi di quasi tutte le prefetture d’Italia, della polizia, dei carabinieri, del ministero dell’Interno e delle strutture Nato. Questo tipo di documentazione, definita in gergo un po’ sbrigativamente "carte di polizia", rappresenta materiale spesso indispensabile per la ricostruzione storica. Anche se, così come ogni altro tipo di fonte, essa richiede riscontri e conferme.

Le carte ordinate da Donno costituiscono il primo significativo spezzone di documentazione archivistica italiana sulla cosiddetta "Gladio rossa". Esse vanno ad integrare - e, a noi sembra, in genere, a confermare - quanto appreso dalle fonti sovietiche attraverso gli studi di Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky e da quelle americane, utilizzate per lo più da Salvatore Sechi. I testi in questione impongono una riflessione pregiudiziale. Essi, alla lettura, conferiscono l’inequivocabile impressione di riferirsi a vicende di un tempo storico altro, che più nulla ha a che fare con quello attuale. Alcune delle condizioni strutturali che hanno reso possibili gli avvenimenti ai quali i documenti si riferiscono non ci sono più né possono ricostituirsi. Al più, il loro ricordo potrà per un po’ ancora giustificare l’azione di qualche nostalgico ed alimentare la nostalgia: "residuo" inevitabile di una storia grande nella sua tragicità.

Per questa ragione su quegli avvenimenti oggi ci si può soffermare privilegiando la comprensione sul giudizio, senza alimentare il sospetto di farlo al solo fine di delegittimare un avversario politico. Anche se il rischio, inutile nasconderselo, esiste. Il materiale presentato da Donno potrebbe prestarsi ad un utilizzo strumentale. Lo stesso autore della ricerca sembra esserne cosciente, e proprio per questo, ha preferito proporre dei documenti piuttosto che delle interpretazioni. Ed ha espresso l’intenzione di rendere pubblico in tempi brevi il suo contributo. Solo la valutazione contestuale dell’intero corpus documentario raccolto in volume potrà evitare che l’estrapolazione di documenti e la fuga di notizie parziali e ancor più di nomi, possano contribuire ad avvelenare il clima già arroventato della campagna elettorale. In questa stessa prospettiva, che si ritiene sia quella della difficile conquista di una storia condivisa, premessa indispensabile di una democrazia matura, di seguito illustriamo in forma schematica i principali nodi storici sollevati dalla documentazione sulla Gladio Rossa da ieri agli atti della Commissione Stragi. Con l’intenzione di contribuire ad un dibattito ancora tutto da svolgere.

La struttura militare del Pci fino al ’53 e la prospettiva della guerra.
Le carte che costituiscono l’appendice alla relazione di Donno confermano, in primo luogo, quanto già emerso dai contributi sapienziali forniti alla Commissione da Victor Zaslavsky e poi ribadito nel libro-intervista del presidente della Commissione Giovanni Pellegrino. Fino al 1953-54 la struttura militare del Pci fu predisposta al fine di sostenere una possibile insurrezione armata; ad operare come "quinta colonna" in caso d’attacco da parte dell’Unione Sovietica sul continente europeo. Questa prospettiva si fondò sulla convinzione, fatta propria da Stalin e dalla dirigenza staliniana fin dal 1939, dell’inevitabilità di uno scontro ultimativo tra comunismo e capitalismo, che avrebbe assunto la forma e le dimensioni di un nuovo, decisivo, conflitto mondiale. Quest’analisi fu condivisa dalla dirigenza italiana del Pci nella sua interezza. Le carte in questione ridimensionano lo scontro tra Togliatti e Secchia. Esso certamente ci fu, ma ebbe natura tattica piuttosto che strategica. La sua lettura retrospettiva esalta, in ogni caso, la prudenza politica ed il senso di responsabilità internazionale di Togliatti, che fu in gran parte coincidente con quello di Stalin.

Questa situazione si modificò tra il 1953 e il 1954. Molti fattori convergono verso "la svolta". L’avvenuta rottura tra l’Urss e la Jugoslavia chiuse la prospettiva di un corridoio balcanico all’ipotesi d’invasione sovietica. La fine di Stalin allontanò ancora di più la prospettiva imminente dello scontro definitivo. Infine, va tenuto nel debito conto il modificarsi dei rapporti di forza militare tra il mondo occidentale e l’Urss in favore del primo. Il tutto, alimentò nel mondo comunista un ripensamento complessivo dell’antico nesso guerra-rivoluzione.

Rapporti tra la struttura politica e la struttura militare del Pci.
Il 1953 è una data di svolta anche per il rapporto che intercorse tra la struttura militare e la struttura politica del Pci. I documenti attestano in modo inequivocabile che nella prima fase la struttura militare fu parte integrante della struttura politica, coordinata dai segretari di federazione del partito e subordinata alla loro autorità: un’autorità che si estese alle organizzazioni collaterali dei partigiani (Anpi) e dei giovani. La situazione sembra modificarsi tra il 1953 e il 1954, quando nel partito la responsabilità dell’organizzazione passò dalle mani di Secchia a quelle di Giorgio Amendola. Allora la struttura paramilitare subì una profonda riforma: i suoi ranghi si sfoltirono e si specializzarono. Al vecchio esercito di massa di derivazione partigiana si sostituì una struttura più agile e coesa di specialisti.

Questo è uno degli aspetti più interessanti evidenziato dai documenti in questione. Essi, infatti, prospettano un’ipotesi in parte differente da quella di Zaslavsky e contrastante con quella avanzata da Pellegrino. Il cambiamento non sarebbe dipeso — come sostiene Zaslavsky —, dall’abbandono di una propensione all’attacco e dall’acquisizione di una vocazione soltanto difensiva. Tanto meno sembra riguardare la volontà del Pci di difendere la democrazia, nella forma storica occidentale, da possibili involuzioni autoritarie, così come sostiene Pellegrino. Il rapporto tra la struttura militare e l’Urss, infatti, sembra restare costante. Anzi, come si dirà, è proprio in questa fase che le carte attestano un collegamento più forte con strutture e Paesi del Patto di Varsavia. Anche per questo, è solo a partire da questa fase che a rigore di logica si dovrebbe parlare di "Gladio rossa", in analogia con l’altra Gladio sorta in antitesi ad essa, collegata alla Nato per difendere la scelta occidentale.  Caratteristiche e funzioni della struttura militare del Pci.

I nuovi documenti, inoltre, illustrano le funzioni proprie della struttura militare comunista. Fra i compiti rientrano l’addestramento all’assalto, l’istruzione all’intercettazione ed al sabotaggio, la schedatura e, nel caso, l’intimidazione degli avversari di classe. Queste pratiche descrivono i riti dei rivoluzionari di professione e ne ripropongono la mistica. In tal senso, è importante l’attestato collegamento della struttura con i Paesi del Patto di Varsavia: Cecoslovacchia prima degli altri. Una parte dei documenti, fino agli anni Sessanta, informa dei viaggi, compiuti da militanti scelti, Oltrecortina per prendere parte a corsi d’istruzione ideologica, ma anche "paramilitare" e di sabotaggio. Le relazioni dei prefetti, inoltre, informano come questa struttura sarebbe stata posta in stato di preallarme in coincidenza delle crisi internazionali più acute: il Medio Oriente e Berlino fra il ’58 e il ’61; Cuba nell’ottobre del ’62.

I metodi dell’apparato paramilitare descritti in alcuni documenti parrebbero richiamare alcune pratiche ripercorse con esiti drammatici dal terrorismo, a partire dagli anni Settanta. Nessun dubbio è possibile sul fatto che il Pci sia estraneo a quella storia e che, per di più, sia stato un argine indispensabile alla tenuta dello Stato. Non di meno, le carte sembrano suggerire due piste, ancora poco battute. Vi è innanzi tutto da capire in che misura il terrorismo possa considerarsi una vicenda sfuggita dalle mani della dirigenza comunista e, infine, indirizzatasi innanzi tutto contro il Pci. In questa stessa direzione, l’infittirsi dei contatti tra la struttura militare e i paesi del Patto di Varsavia spinge a chiedersi se questi abbiano stretto rapporti diretti con parti della struttura paramilitare, contribuendo a limitare la sovranità interna del partito berlingueriano, del quale sempre meno si sarebbero fidati. Con ogni evidenza, queste domande presuppongono una evoluzione del Pci ma, d’altro canto, riconducono quest’evoluzione all’interno della storia grande e tragica dalla quale essa ha preso le mosse.  Il problema della doppiezza e le peculiarità del Pci.

Una consolidata tradizione storiografica ritiene che la peculiarità del Pci, sin dalla cosiddetta svolta di Salerno, sia stata quella di aver concepito una fondamentale doppiezza, per la quale la lealtà nei riguardi dell’Urss sarebbe convissuta con una sempre maggiore accettazione della democrazia occidentale. Questa lettura è sempre più smentita da nuove documentazioni archivistiche e quelle proposte da Donno sembrano andare in questa stessa direzione. Aveva ragione Aron. Il Pci ed il Pcf nel corso degli anni 50 e 60, nella loro essenza, non sono stati differenti. In uno scontro planetario più volte vicino al punto di rottura, essi hanno innanzi tutto rappresentato delle piattaforme sovietiche lanciate nel campo degli avversari, con il compito di rendere la vita il più difficile possibile ai nemici del comunismo internazionale. E’ giunta l’ora di riconoscere definitivamente al Pci ed al suo leader Togliatti il rango di grandi ed intelligenti interpreti della contesa politica che ha drammaticamente segnato il XX secolo. Sul punto Piero Craveri ha scritto una cosa sacrosanta affermando che la doppiezza non è stata un problema di Togliatti ma, molto di più, degli storici che ne hanno interpretato l’azione.

La peculiarità del Pci, insomma, non va cercata nel suo rapporto con Mosca. Quanto meno per quel che concerne gli anni 50 e gran parte degli anni 60. Essa fu, molto di più, nell’intelligenza politica espressa da un partito rivoluzionario che seppe sottomettere alla sua egemonia i socialisti; seppe imporre le forme della consociazione come pratica politica; seppe continuare a pesare politicamente, senza farsi rinchiudere nel ghetto della banlieu rouge. Anche per tutto questo, quella storia non ha più niente a che fare con le vicende attuali. Salvo per il fatto di aver lasciato all’Italia della strada da recuperare lungo la via della modernizzazione politica e della pratica liberal-democratica.