Il Tempo
Venerdì 2 Marzo 2001
Martini e Inzerilli: il documento top-secret non era nella cassaforte della Difesa durante il sequestro
Gladio, le carte sparite nei giorni di Moro
Le rivelazioni degli ufficiali riaprono il «giallo» su un livello occulto della struttura
http://www.iltempo.it/giornale/ultima/iltempo/nazionale/interni/IN3APE.htm
di STEFANO MANNUCCI

 ROMA - Una misteriosa "manina" provvide a far sparire le carte riservate su Gladio durante i 55 giorni del sequestro Moro. A pochi giorni dalla requisitoria del pm Salvi al processo sulla struttura segreta, due degli imputati hanno riallacciato i fili che legano indissolubilmente due delle vicende più oscure della prima Repubblica. L’altro ieri, in una intervista al "Corriere della Sera", l’ex capo del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini ha raccontato i retroscena dell’inchiesta che, nell’aprile 1978, gli era stata affidata dal Governo per capire quali informazioni riservate avrebbe potuto confidare Moro ai brigatisti. Martini, all’epoca numero due del servizio segreto militare diretto dal generale Santovito, scoprì che dalla cassaforte della Difesa era sparito il documento top secret del passaggio di consegne su Gladio tra il ministro in carica Attilio Ruffini e il suo predecessore, Vito Lattanzio. Martini ha precisato che le informazioni in suo possesso lo portavano a ritenere che «Moro non era mai stato indottrinato su Stay Behind», e dunque non erano da temere clamorose rivelazioni alle Br.

 Ieri, a fornire nuovi dettagli sulla vicenda, è intervenuto l’ex capo di Gladio, generale Paolo Inzerilli: il documento scottante fu consegnato a Lattanzio il 21 ottobre del 1976, e in seconda battuta a Ruffini, il 16 dicembre ’77. Ricorda Inzerilli: «Fui io stesso ad illustrare la Gladio al ministro Ruffini alla presenza di due testimoni, nel dicembre del '77. Erano l'ammiraglio Casardi ed il capoufficio di allora. Andai nel suo ufficio illustrando un documento di quindici pagine, che conteneva segreti di enorme importanza, allora a conoscenza di pochi eletti, corredandolo anche con una serie di diapositive in cui spiegavo nel dettaglio lo schieramento dell'intera struttura antinvasione della Nato. Per quanto riguarda il suo predecessore, Lattanzio, feci la stessa cosa con lui nel '76 lasciando in consegna l'importante documentazione».

 Quando le carte sparirono dalla cassaforte di Palazzo Baracchini, Inzerilli fece «fuoco e fiamme per riavere indietro quelle carte - rivela - e tornarono indietro solo nel 1980 accompagnate da un biglietto firmato dall'aiutante di bandiera del ministro della Difesa, ammiraglio Staglianò. Come capo del servizio militare, era in carica Santovito. Dunque, non si erano perse. Che cosa ne sia stato però, non saprei dirlo». Che ne era stato del documento durante il sequestro Moro? Qualcuno lo aveva forse passato - magari in copia - alle Brigate Rosse, come vogliono i sostenitori (e tra questi il presidente della Commissione Stragi, Giovanni Pellegrino) della teoria del "doppio ostaggio" nelle mani dei terroristi, uno dei quali era il presidente della Dc e l’altro i segreti di Stato da lui rivelati?

 Come sia, dell’esistenza di Gladio l’opinione pubblica venne a conoscenza con il ritrovamento di parte del memoriale di Moro nel covo di via Montenevoso, nel 1990: il presidente del consiglio Andreotti fu costretto ad ammettere in Parlamento, due mesi più tardi, che quella struttura esisteva, era legittima, ed inquadrata nei piani di difesa della Nato. Ma il riscontro fu deludente: Andreotti diffuse un elenco di soli 622 gladiatori "ufficiali", pronti a intervenire in difesa del suolo patrio in caso di invasione delle truppe del Patto di Varsavia.

 Uno squarcio di luce sull’esistenza di un livello "coperto" di Gladio lo ha fornito, in una intervista a "Il Tempo" del 10 novembre 2000, l’agente G-71, Antonino Arconte, che ha rivelato con dovizia di particolari e di riscontri documentali l’attività di centinaia di 007 non compresi nella lista dei 622: "gladiatori" spesso in missione all’estero, nei punti caldi dello scacchiere internazionale, dal Vietnam al Sudafrica, dalla Libia alla Tunisia, in quest’ultimo caso per partecipare al golpe contro Bourghiba su input del Governo italiano.

 Arconte raccontò anche della sconcertante missione a Beirut alcuni giorni prima del 16 marzo ’78, quando ebbe luogo l’agguato di via Fani. G-71 consegnò a un ufficiale del Sismi, da lui identificato come il colonnello Mario Ferraro, (morto in circostanze misteriose anni più tardi), una lettera in cui i nostri servizi in Libano erano sollecitati ad attivarsi presso gli estremisti mediorientali al fine di ottenere la liberazione di Moro. Prima che fosse rapito.

 Sulle dichiarazioni di Arconte indagano il pm romano Franco Ionta e il procuratore militare Antonino Intelisano. Quest’ultimo, nei giorni scorsi, ha acquisito agli atti un altro decisivo documento di G-71: quello che a metà degli anni Settanta certificava l’esistenza, presso il Comando degli incursori subacquei di La Spezia, di un nucleo G che si occupava dei gladiatori e della loro mobilitazione in caso di emergenza. È forse questa la verità che non doveva venire a galla, nel ’78 come nel ’90. La SuperGladio d’assalto doveva restare un segreto di Stato. Magari per sempre.