16 dicembre 2000
Il Tempo
Due procure ora indagano per le rivelazioni degli 007 sulla Stay Behind segreta

Roma - Due procure ora indagano sulle rivelazioni degli agenti di "Stay Behind" dopo le recenti interviste a "Il Tempo" i carabinieri dei ROS hanno ascoltato, su mandato del pm romano Franco Ionta, gli ex 007 "Franz" e Antonino Arconte. E su quest'ultimo un'inchiesta è stata aperta anche dal procuratore militare Antonino Intelisano. Troppo clamorose, le notizie raccontate dai due personaggi, perché fossero ignorate dagli inquirenti. Ionta, titolare delle indagini su Moro, vuole vederci chiaro sulla pista libanese per la liberazione dello statista Dc. Intelisano, dal canto suo, vuole capire se effettivamente all'interno della Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo venisse negli anni Settanta proposto l'inquadramento segreto di militari scelti all'Interno di una sorta di "SuperGladio" in armi destinata ad operazioni oltre confine. Secondo Arconte (che afferma di aver svolto missioni nei punti caldi del mondo, dal Vietnam al Medio Oriente, dal Sudamerica all'Est Europa), erano circa trecento gli agenti divisi in tre centurie: "Lupi", "Aquile", e "Colombe", quest'ultima composta da personale civile.
Il racconto di Arconte (numero di matricola G71Vo155M) è suffragato da molti documenti apparentemente inoppugnabili: tra questi un libretto personale di congedo rilasciato dalla Marina in cui l'uomo figura come "destinato ai reparti Speciali S.B.", quest'ultima sigla celerebbe l'appartenenza alla Stay-Behind". Così forse sarebbe confermata l'esistenza di un livello mai finora conosciuto della Gladio: secondo la lista diffusa in parlamento nel 1990 dall'allora presidente del Consiglio Andreotti, i gladiatori sarebbero stati non più di 622: tra questi non figura Arconte, ma spicca tuttavia il nome del generale Fabrizio Antonelli, comandante della Scuola Allievi Sottufficiali di Viterbo nei primi anni Settanta.

Ste. Man.



Roma - I servizi segreti italiani attivarono contatti con i palestinesi a Beirut per la liberazione di Moro. Dopo le allusioni del superterrorista Carlos e le rivelazioni del "gladiatore" Arcont, la terza conferma sull'esistenza di una pista mediorientale per la soluzione del sequestro dello statista Dc arriva da un latitante di lusso: l'ex leader dell'Autonomia Oreste Scalzone. Come pezzi di uno stesso mosaico, i racconti dei tre personaggi, da postazioni non comunicanti, convergono su un punto: è in Libano che prima e dopo i 55 giorni del rapimento, si è giocata, con risvolti inquietanti, una delle partite chiave per la sorte dell'uomo politico.

La confessione di Scalzone

Per offrire la sua porzione di verità, l'ex capo dei gruppi più violenti dell'estrema sinistra romana, oggi rifugiato a Parigi, ha scelto il cinema. In "Addio Lugano Bella!, un film documentario sugli anni di piombo della regista Francesca Solari, Scalzone spiega:"Durante il sequestro Moro, un colonnello dei carabinieri italiani, di stanza all'ambasciata italiana a Beirut, dirigente dei servizi segreti italiani, si attiva in direzione di tutti i gruppi dell'area palestinese e tra questi contatta gli esponenti del cosiddetto gruppo Carlos. Gli chiede se possono far arrivare un messaggio alle Br, dato che loro, i servizi segreti, non avevano un canale diretto per arrivarci". E' il momento chiave di una pellicola che verrà presentata stasera al Romafilmfestival, ma già vista al Festival di Locarno. Ne sono protagonisti, oltre a Scalzone, la stessa Solari, ex di Lotta Continua e poi di Autonomia, e il marito, Giorgio Bellini, tra i fondatori del Gruppo "Lotta di classe", arrestato in Svizzera nel 1994 con l'accusa di complicità in attentati del gruppo di Carlos e quindi rilasciato.

Le reticenze di Carlos

In cella di isolamento nel carcere parigino della Santé dal 1994, l'ex primula rossa del terrorismo internazionale ha rilasciato due mesi fa due interviste, al "Messaggero" e a "Il Tempo". Nella prima ha dichiarato, a proposito del caso Moro: "All'aeroporto di Beirut un jet "Executive" dei servizi di sicurezza italiani rimase in attesa a lungo, aspettando un contatto con le Br attraverso gente estranea alla resistenza palestinese. Non c'erano uomini di al-Fatah. C'erano patrioti anti-Nato, inclusi alcuni generali, che erano partiti per aspettare il rilascio dei prigionieri e per salvare la vita a Moro e l'indipendenza dell'Italia. Invece questi patrioti, inclusi alcuni generali, sono stati dimessi e costretti ad andare in pensione". Nelle risposte al nostro giornale lo "Sciacallo" venezuelano, invece, volle mostrarsi all'oscuro di troppe cose. Negò di sapere qualcosa sulla targa di una auto del commando brigatista che agì in via Fani: era appartenuta all'addetto militare dell'ambasciata di Caracas a Roma ed era poi stata riassegnata dal nostro ministero dei Trasporti a Valerio Morucci. Non è mai stato chiarito, del resto, chi fosse lo spietato killer che, tra armi inceppate ed impreparazione dei Br, trucidò con decine di proiettili gli uomini della scorta di Moro. Il sospetto investigativo è che l'uomo-ombra dell'eccidio fosse proprio Carlos, o un suo luogotenente.

I segreti del gladiatore

In una intervista del 10 novembre scorso a "Il Tempo" l'agente G71 Antonino Arconte aveva rivelato l'esistenza di un livello segreto dell'organizzazione "Stay Behind" volto a operazioni militari e informative all'estero, e non all'interno dei nostri confini. In una di queste missioni Arconte avrebbe recapitato uno "strano" messaggio da parte dei vertici dei nostri servizi: partito il 6 marzo 1978 da La Spezia a bordo della motonave "Turboemme", e approdato a Beirut certamente prima del 16 marzo (giorno del rapimento di Moro), il gladiatore consegnò nelle mani del colonnello Mario Ferraro del Sismi alcuni documenti e una busta con una lettera. Ricorda Arconte:"Non era mio compito impicciarmi, ma vidi che c'era scritto di cercare contatti con i gruppi terroristici mediorientali affinché si attivassero presso le Brigate Rosse, allo scopo di ottenere la liberazione di Moro". Ferraro prese nota e si allontanò: solo qualche giorno dopo, durante la navigazione verso Alessandria d'Egitto, Arconte seppe grazie a un fonogramma "in diretta" dell'agguato di via Fani. Il capo della stazione Sismi a Beirut era il colonnello Stefano Giovannone, uomo di fiducia di Moro, che a lui si rivolse con una lettera dalla "prigione" brigatista. Il colonnello Ferraro fu trovato impiccato nel 1995, nel bagno di casa sua a Roma. Strangolato da una cintura legata a una maniglia a un metro e venti da terra. Il caso fu archiviato come suicidio.

Il cerchio si chiude

Scalzone, Carlos e Arconte, per diversi motivi, sono testimoni attendibili della vicenda Moro. Il primo perché l'area dell'Autonomia fu certamente sollecitata in occasione del sequestro (vedi la trattativa Pace-Piperno o la "soffiata" su via Gradoli"), il secondo perché al centro delle manovre dei servizi segreti di mezzo mondo durante quei terribili 55 giorni. Il trzo perché ha fornito riscontri oggettivi della sua attività di 007 in "Stay-Behind". Se tutti e tre dicono la verità, sorgono interrogativi angosciosi sull'ambigua strategia della nostra intelligence, che pur avendo ricevuto segnalazioni in anticipo sulle mosse dei brigatisti, non avrebbe tuttavia impedito il rapimento di Moro, ma solo deciso di tentarne - forse - la liberazione.



Nota: escludendo che Moro si sia rapito da solo, l'altro nome che aveva autorità sui servizi è: Cossiga. Lo stesso che rifiutò a Moro la macchina blindata quando questi gliene fece richiesta. Andreotti invece offrì a Moro quella sua, ma Moro rifiutò.