Cossiga riabilita formazioni armate clandestine, purché contro lo straniero (13 ottobre)

Sette
Settimanale del Corriere della Sera
Attualità
Segreti incrociati - Ricordi di un picconatore
Giulio e il Pci, ecco i misteri della mia Gladio
12 ottobre 2000

A 10 anni della scoperta della rete clandestina anticomunista, Francesco Cossiga ricostruisce i giorni convulsi che lo videro al centro dell'attacco del partito di Occhetto. E aggiunge: "Attenti, Taviani, Andreotti, Moro e Spadolini ne sapevano molto più di me".
di Michele Brambilla

Dopo più di un'ora che siamo a colloquio da soli, con i carabinieri della scorta chiusi fuori dalla stanza, chiediamo a Cossiga se davvero non c'è stato, nella storia di Gladio, nessun fatto, nessuna persona, nessun progetto che possa farci pensare che quell'esercito anticomunista clandestino scoperto giusto dieci anni fa abbia in qualche modo diretto, o condizionato, orientato la politica italiana dell'ultimo mezzo secolo. Lui si avvicina, ci afferra un braccio, ci fissa negli occhi:"Nulla. Dopo dieci anni di indagini su Gladio, non è emerso nulla di illegale. Nulla, nulla, nulla.".

Era il 27 luglio del 1990 quando il giudice veneziano Casson indagando sulla strage di Peteano, trovò traccia negli archivi del Sismi, i servizi militari, dell'esistenza di una struttura clandestina armata chiamata Gladio. Pochi giorni dopo, il 3 agosto, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti confermò: in Italia è esistita una forza militare parallela. In ottobre, con l'invio dei documenti del Sismi alla Commissione Stragi, la vicenda diventò un caso nazionale e il presidente della Repubblica Francesco Cossiga, dichiarando di avere sempre saputo di Gladio e rivendicando la "piena legittimità" dell'organizzazione, divenne il bersaglio di una furibonda campagna promossa dal Pci di Achille Occhetto, campagna che arrivò fino alla richiesta di impeachment.

Rievochiamo quei giorni con Cossiga nella sua stanza dell'ospedale di Varese, dov'è tornato per qualche esame di controllo e dove mostra di stare benissimo ("Se non mi trovassi bene qui, le pare che avrei resistito due mesi e mezzo, quest'estate?"). In fondo, il capitolo finale della storia della Prima Repubblica comincia in quell'ottobre di dieci anni fa, con la polemica tra i partiti che raggiunge livelli di rottura, con un capo dello Stato che da silenzioso notaio diventa agguerrito picconatore. Poco più di un anno dopo, a Milano, viene arrestato un certo Mario Chiesa.

L'ex presidente parte da lontano, "Seppi dell'esistenza di questa struttura segreta nel 1966, quando fui nominato sottosegretario alla Difesa con il ministro Roberto Tremelloni. Un giorno venne da me il capo dell'ufficio R, cioè degli affari riservati, e mi disse che ciò che stava per comunicarmi era coperto da un livello segretissimo, facendomi l'elenco delle persone con le quali avrei potuto trattare l'argomento: presidente del Consiglio, capo di Stato maggiore della Difesa, ministri della Difesa, dell'Interno e degli Esteri. Ma mi fece anche capire che, meno parlavo di questa storia, meglio era. Poi cominciò a spiegarmi che esisteva una struttura segreta che aveva lo scopo di preparare la resistenza in caso di invasione da parte delle truppe del Patto di Varsavia, che questa struttura era composta soprattutto da ex partigiani ma non da comunisti, ai quali la partecipazione era vietata, così come era vietata agli elementi di destra". Anche a quelli di destra? "Certamente. Infatti, nonostante gli sforzi che hanno fatto, nei famosi elenchi non hanno trovato nessun fascista o neofascista".

Di questa "struttura" ("Che si chiamasse Gladio, io l'ho appreso per la prima volta nel 1990, dai giornali") Cossiga dice di aver fatto il "furiere". "Avevo compiti amministrativi, nulla di più. Se dovessi fare una classifica dei politici informati di quell'organizzazione, metterei davanti a me certamente Taviani, Moro, Andreotti, e Spadolini". Ma quando scoppiò l'affare Gladio, solo Cossiga si assunse tutte le responsabilità. Perché? "Intanto perché ero il capo dello Stato, e perché avevo firmato molti atti riguardanti l'attività di Gladio. E poi perché nessun altro politico ebbe il coraggio di esporsi. Molti dissero: sì, ho firmato certe carte, ma non avevo capito bene di che cosa si trattava... Ci fu un'ondata di paura, di una paura molto sciocca perché non c'era nulla di cui vergognarsi. Abbiamo criminalizzato un'organizzazione difensiva che c'era anche in Francia, Inghilterra, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Germania Ovest, Norvegia e Danimarca, più altri Paesi che non facevano neppure parte dell'alleanza atlantica, come la Svizzera, la Svezia, l'Austria, la Grecia. In nessuno di questi Paesi è stato sollevato il polverone che è stato sollevato da noi". Si parlò subito di coinvolgimento dei gladiatori nelle stragi: perché? "Credo per due motivi: primo, il Pci è per eccellenza il partito della dietrologia. Deve sempre trovare dei motivi per giustificare la propria sconfitta. Deve sempre dire: se non abbiamo vinto, è perché con qualche trama oscura, sporca, illegale, ce lo hanno impedito. Il secondo motivo è che loro erano terrorizzati dal crollo dell'Est. Non sapevo che cosa sarebbe successo, e allora iniziarono il fuoco di controbatteria. Dissero: prima che ci attacchino gli altri, attacchiamo noi".

Ma perché questo fuoco di controbatteria si indirizzò soprattutto contro Cossiga? E' questo, ci vuole dire l'ex presidente, il vero mistero del caso Gladio. "Lei mi fa una domanda che io mi pongo da dieci anni. Quando Andreotti, senza informare gli alleati della Nato, rivelò l'esistenza di Gladio, io ero a Londra, e stavo preparando il discorso di Edimburgo, con il quale aprivo al nascente Pds, dicendo che era giunto il momento della collaborazione con i comunisti. Telefonai a Pecchioli e gli dissi: prima di prendere posizione su questa storia di cui ha parlato Andreotti, aspettate di sapere bene di cosa si tratta. So che Botteghe Oscure ci fu una riunione della direzione, e che alcuni dissero: ma vi rendete conto che il capo dello Stato ci sta finalmente legittimando? La sinistra del partito rispose: sì, ma il capo dello Stato vuole che la partita finisca zero a zero. E noi non possiamo accettare, perché la rgione è dalla nostra parte".

Altro mistero: perché Andreotti diede il la alle polemiche, sollevando la questione di Gladio all'insaputa degli alleati del patto atlantico? "Ci sono due interpretazioni. Una, malevola, è questa: Andreotti, che era già in corsa per la mia successione, si accorse che alcuni magistrati di sinistra si stavano imbattendo in questa storia di Gladio. Ebbe paura che l'inchiesta gli capitasse tra i piedi durante le votazioni per il Quirinale. Insomma, secondo questa interpretazione Andreotti giocò d'anticipo, facendo in modo che le polemiche si esaurissero prima, indirizzandosi verso altri". E l'interpretazione benevola? "Andreotti non avvertì gli alleati perché sottovalutò il problema, pensò che tanto la guerra fredda era finita da un pezzo e che anche gli inglesi e gli americani a Gladio non pensavano più". Come sarebbe a dire "sottovalutò"? Ma stiamo parlando di Andreotti o di uno sprovveduto? "Guardi che Andreotti ha sempre riso di queste cose: questioni militari, spionaggio... E' una leggenda quella che lo vuole gran regista dei servizi segreti. Mentre non è una leggenda quella di un Moro gran regista dei servizi segreti. Lui sì che curava queste cose. Le racconto un episodio. Quando arrestarono Vito Miceli, Piccoli mi chiese di andare a casa dei suoi familiari, perché erano molto preoccupati, e occorreva qualcuno che li tranquillizzasse. Io andai da Moro e feci presente che mi sembrava inopportuno andare a casa di un capo dei servizi arrestato. Ma lui fu categorico:"Vai dai familiari di Miceli, bisogna proteggerli, dà loro tutte le garanzie". Le assicuro: se c'era un uomo che sapeva usare i servizi segreti, questo era Moro. Una delle cose che non si è mai riusciti a scoprire, per esempio, è come riuscì a impedire il terrorismo arabo in Italia. Quello sì che è un mistero". E Gladio non lo è? "Glielo ripeto: su Gladio non è emerso nulla di illegale. Salvo, come fa la sinistra, considerare illegale una struttura di resistenza contro l'invasione di una potenza straniera". Struttura segreta, però. "E lei ha mai visto una rete di partigiani che agisce alla luce del sole?".

Michele Brambilla



Achille Occhetto: "Pds diviso? Non me lo ricordo."

"Perché da segretario presi la decisione di adottare una linea di contrapposizione a Cossiga su Gladio?". Achille Occhetto sorride e risponde con una battuta, sul filo del paradosso, come spesso ama fare:"Che vuole che risponda? Perché avevamo fatto la Svolta e dovevamo raccogliere consensi, no?". Ride. Ma subito dopo l'attuale presidente della Commissione Esteri si fa serio e ricorda quei giorni in cui il suo Pds e il presidente entrarono in rotta di collisione. "Adottammo una linea che andava contro ogni calcolo, ed era il prodotto di una scelta di chiarezza etica. Noi comunisti stavamo facendo la svolta della Bolognina con dei costi umani drammatici, perché fosse chiaro che non mantenevamo nessun legame di ambiguità coi lati oscuri della nostra storia". Cosa c'entra questo con Gladio? "So che qualche maestro di politicismo storcerà il naso. Ma come si poteva chiudere l'età delle contrapposizioni se qualcuno lavorava clandestinamente per cambiare le regole del gioco, se c'erano liste di dirigenti da deportare in Sardegna?".

Occhetto spiega:"Nulla di personale contro Cossiga, anzi: ma in quei giorni Gladio era un simbolo dell'Italia che volevamo cambiare". E le divisioni del gruppo dirigente Pds di cui parla l'ex presidente? Occhetto scuote il capo: "In verità non me le ricordo, non avrei nessuna difficoltà a farlo".



Nota: in Italia, continuano le guerre tra cosche...