Il Giorno, 31 dicembre
«Il contatto immediato è devastante»
http://ilrestodelcarlino.monrif.net/chan/2/3:1657147:/2000/12/31

 PISA — Secondo il professor Vittorio Sabbatini, l'uranio impoverito dei proiettili sparati dagli americani nel Kosovo non è responsabile della morte per leucemia di alcuni militari. Il professor Sabbatini è il capo dell'ufficio nucleare del Cisam (Centro interforze studi applicazioni militari) di Pisa. Fisico nucleare specializzato in misure radioattive, impegnato nella struttura militare pisana fin dal 1964, quando essa si chiamava Camen (Centro applicazioni militari energia nucleare) e aveva il compito di progettare il sommergibile atomico italiano, il professor Sabbatini ha condotto per conto del ministero della Difesa ben quattro campagne di studio nelle zone di guerra in Kosovo e in Bosnia. «L'uranio di quei proiettili — spiega Sabbatini — è radioattivo e dunque pericoloso nell'immediatezza dell'esplosione, poi si disperde nell'atmosfera o nel terreno dove viene rapidamente assorbito. I nostri soldati sono arrivati in quelle zone quindici o venti giorni dopo i bombardamenti e il livello di radioattività rilevato era addirittura inferiore a quello che è «fisiologico» in certe zone d'Italia d'origine vulcanica, ad esempio nella provincia di Viterbo, dove, tanto per fare un esempio, è di norma pari a 200 Bq, che sono l'unità di misura adoperata per la radioattività, mentre in Kosovo oscillava fra i 100 e o 150. Insomma, nulla che potesse far pensare a casi di leucemia fulminante, come accadde invece agli americani in Kuwait che arrivarono nelle zone bombardate subito dopo i raid aerei e si trovarono immersi nella radioattività».

 Resta però da spiegare la «strana» coincidenza di quelle morti di militari italiani e non solo che hanno partecipato alle operazioni in Kosovo. Ma anche a questo, sia pure in forma più cauta, il professor Sabbatini, che recentemente è stato chiamato a far parte della commissione nominata dal ministero per far luce sulla vicenda, dà una spiegazione. «Solo chi è stato in Kosovo in quei giorni — dice — può rendersi conto dell'elevatissimo rischio sanitario che caratterizzava le zone di guerra. Bruciavano i reparti di medicina nucleare degli ospedali, le fabbriche di materie plastiche e i depositi di pneumatici, impianti industriali a rischio erano stati distrutti o erano in fiamme e in mezzo a questo inferno arrivammo noi per la campagna di rilevamento della radioattività. Ci guardammo intorno e il commento fu unanime: altro che uranio impoverito...».
 Nella foto: Vittorio Sabbatini

 di Giuseppe Meucci