Famiglia Cristiana, N.4, 28 gennaio
EX JUGOSLAVIA - La mobilitazione internazionale contro gli ordigni inesplosi
Grappoli di morte
http://www.sanpaolo.org/fc/0104fc/104fc62.htm
di ALBERTO CHIARA

Si chiamano cluster bombs, "bombe a grappolo". Uccidono come le mine, ma non sono mine e quindi non sono bandite. Sono nei Balcani, in Cecenia e in Africa. L’impegno della Croce Rossa.

Quando giacciono a terra inesplosi, sono ordigni vigliacchi proprio come le mine antiuomo. Non distinguono un bambino o una donna da un soldato che combatte; feriscono e uccidono con stupida caparbietà anche anni dopo il cessate-il-fuoco: proprio come le mine. Ma non sono mine. E dunque non sono messi al bando, proibiti. Finora, almeno.

Si chiamano bombe a grappolo, in inglese cluster bombs. «Vengono caricate sugli aerei in appositi contenitori, ciascuno dei quali può ospitare un numero variabile di submunizioni (bomblets)», spiega Fernando Termentini, generale del Genio in pensione, ora impegnato a coordinare le operazioni di bonifica avviate in Kosovo da Intersos, un’organizzazione non governativa italiana. «Molte bombe a grappolo non esplodono, come dovrebbero, all’impatto con il suolo. E si trasformano di fatto in mine antiuomo», prosegue Termentini. «Usate da più di trent’anni in diversi conflitti, oggi infestano tra l’altro Serbia e Kosovo. La Nato ha ammesso che nella primavera del 1999, durante la campagna anti-Milosevic, ha sganciato su 333 aree 1.392 cluster bombs contenenti 289.536 bomblets. L’artiglieria serba, a sua volta, ha lanciato cluster bombs (del tipo KB-1) al confine tra Kosovo e Albania. Quando si parla di Balcani, tutti pensano ai rischi che comporta l’uranio impoverito. Quasi nessuno, purtroppo, ricorda i danni certi causati dalle cluster bombs».

E dire che diversi interventi, in campo internazionale, hanno cercato di richiamare l’attenzione sul problema. Nell’estate 1999, la campagna inglese contro le mine ha dedicato alla questione delle cluster bombs un documento analitico.

«In Kosovo e in Serbia gli aerei Nato hanno sganciato in particolar modo bombe BL 755, costruite dalla britannica Hunting Engineering, e BLU 97/B, prodotte dall’Alliant Techsystems», si legge nel rapporto inglese. «Un sistema a gas apre in volo i contenitori delle BL 755, ciascuno dei quali libera 147 submunizioni. Le bomblets sono progettate per esplodere al contatto con il terreno, proiettando circa 2.000 frammenti metallici. Le BLU 97/B sono invece caricate in Tactical munition dispenser, ciascuno dei quali (chiamato CBU-87) contiene 202 ordigni. Le BLU 97/B hanno un triplice effetto: perforano mezzi blindati, possono spargere frammenti in aree dal raggio di 18 metri, e hanno un congegno che provoca incendi nella zona dell’impatto».

Il 16 dicembre 1999 Human Rights Watch, un’organizzazione non governativa americana, ha pubblicato un memorandum con cui ha offerto maggiori dettagli («l’aviazione degli Stati Uniti ha sganciato circa 1.100 CBU-87; la Raf, l’aeronautica militare britannica, ha invece sganciato 500 contenitori di BL 755»), ha denunciato una significativa differenza tra il tasso di cattivo funzionamento ammesso dalle aziende produttrici (il 5 per cento del totale) e quello realmente riscontrato sul campo («non esplode fino al 30 per cento degli ordigni») e ha infine sollecitato una moratoria volta a sospenderne l’uso.

Nell’agosto 2000 è intervenuto il Comitato internazionale della Croce Rossa. «Il 7 maggio 1999», si legge in un dossier, «venne bombardata l’area aeroportuale della città jugoslava di Nis. Una cluster bomb mancò il bersaglio e colpì edifici civili nel centro cittadino. Morirono 15 persone e ne furono ferite altre 70 circa».

Ma il Comitato internazionale della Croce Rossa si è soffermato soprattutto sugli incidenti registrati dopo la firma degli accordi che, nel giugno 1999, hanno sancito la fine delle ostilità. «Tra il giugno 1999 e il maggio 2000 le bombe a grappolo inesplose hanno ucciso in Kosovo 50 persone. Nello stesso periodo, sempre in Kosovo, i morti causati dalle mine antiuomo sono stati 22; quelli provocati dall’esplosione di mine anticarro 8. Gli incidenti con feriti causati dalle mine antiuomo sono stati 154, quelli per cluster bombs 101, quelli per mine anticarro 15».

[Le scie dei proiettili su Baghdad (foto Reuter).]

Giochi di bimbi finiti in tragedia

Nell’ottobre 1999, Burim Jashari, 10 anni, ha perso una gamba a causa di una cluster bomb rimasta inesplosa a Babushi Muhaxhereve, in Kosovo. L’11 marzo 2000, otto ragazzini tra i 10 e i 16 anni s’erano recati su una collina, a sud di Mitrovica. In quella zona, durante il conflitto, avevano operato reparti serbi dell’esercito e della polizia, attaccati dall’aviazione della Nato con bombe a grappolo. Il luogo non era recintato, nessun segnale di pericolo. I ragazzini hanno trovato due BLU-97 inesplose con le quali hanno giocato fino al momento della tragedia. Un dodicenne è morto. Il fratellino della vittima è stato gravemente ferito.

«Le cluster bombs non possono essere riportate sulle mappe con precisi riferimenti che ne consentano il ritrovamento, una volta finita la guerra», riprende Termentini. «Le bomblets liberate da ogni singolo contenitore saturano un’area grande come un campo di calcio», aggiunge Mario Pellegrino, un altro sminatore, già ufficiale del Genio. «A differenza delle mine, le cluster bombs attirano l’attenzione, incuriosendo adulti e bambini», precisa Termentini: «Sono simili a palline da tennis o a cilindri, spesso dai colori sgargianti, con attaccato un "simpatico" fiocchetto di stoffa o un "grazioso" paracadute».

Dal Vietnam all’Angola: «Bisogna vietarle»

«Le cluster bombs non sono solo nei Balcani», dice Nicoletta Dentico, coordinatrice della Campagna italiana contro le mine. «Le prime vennero costruite negli anni ’60. Nella guerra del Vietnam, gli Usa ne sganciarono 285 milioni su tutta l’Indocina. Ancora oggi le cluster bombs americane continuano a uccidere e a mutilare. Secondo Human Rights Watch, circa 1.200 civili kuwaitiani e 400 civili iracheni sono morti finora per colpa degli ordigni lanciati dalle forze alleate durante la guerra del Golfo. Le cluster bombs russe continuano a mietere vittime in Cecenia. Il problema caratterizza infine vari Paesi africani (Sudan, Angola, Sierra Leone, Etiopia). Le Campagne contro le mine di Italia, Germania, Gran Bretagna, Canada, Afghanistan e Nuova Zelanda chiedono che le cluster bombs siano equiparate alle mine antiuomo e dunque bandite come prevede il Trattato di Ottawa».

Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha proposto agli Stati di sottoscrivere quanto meno un protocollo che vieta l’uso delle cluster bombs contro obiettivi militari, se collocati in zone popolate da civili, e impone dispositivi di autodistruzione e congegni che ne consentano l’individuazione in caso di cattivo funzionamento. In autunno se ne discuterà in una conferenza intergovernativa.

Alberto Chiara