Famiglia Cristiana, 21 gennaio 2001
Sono migliaia i prodotti di uso civile con uranio impoverito
Non solo proiettili
http://www.sanpaolo.org/fc/0103fc/0103fc40.htm
di GIUSEPPE ALTAMORE

Per realizzare una sola bomba atomica occorrono da 15 a 30 chilogrammi di uranio weapon grade. Per ogni chilo ottenuto si produce uno scarto di 249 chili di uranio impoverito. «Stiamo parlando di circa 700 mila tonnellate di scorie accumulate in 50 anni di storia nucleare soltanto negli Stati Uniti», spiega Marco Saba, fondatore dell’Osservatorio etico ambientale, un’organizzazione non governativa che ha creato un network su questo tema in Internet (http://stop-u238.i.am/).

Secondo il Dipartimento per l’energia degli Usa, nel mondo sono disponibili quasi tre milioni di tonnellate di uranio impoverito. La maggior parte di questo materiale è immagazzinata sotto forma di gas in bombole d’acciaio a 200 atmosfere di pressione. Ma questo sistema, oltre a rappresentare enormi problemi di sicurezza, costa. Per questa ragione, il 2 agosto del 1999, il Dipartimento dell’energia degli Usa ha annunciato la conversione di alcune migliaia di tonnellate di uranio in una forma più stabile, cioè solida. Per quali usi?

A giudicare dal numero di brevetti, depositati presso l’Ufficio europeo dell’Aia, soprattutto per un uso civile. Sono infatti 836 quelli registrati finora, suddivisi tra i vari Paesi europei, gli Stati Uniti e il Giappone. L’Italia, per esempio, ha registrato 31 brevetti per prodotti di uso civile. Fino a oggi si conoscono almeno 674 invenzioni, che hanno dato origine, in tutto il mondo, a 2.430 brevetti. Di queste, circa 507 invenzioni sono depositate da meno di vent’anni, quindi i corrispondenti 1.753 brevetti sono tuttora validi.

Famiglia Cristiana è riuscita ad avere l’elenco dei gruppi industriali che utilizzano brevetti all’uranio impoverito. Sono 284 grandi gruppi industriali, come Agip, Westinghouse, Siemens, Rhône Poulenc, Mitsubishi, France Telecom... (l’elenco completo è disponibile nel sito: www.famigliacristiana.it).

Il più consistente uso dell’uranio impoverito riguarda l’industria nucleare, la medicina e il settore petrolifero. L’uranio è ampiamente utilizzato nelle punte usate per trapanare le rocce grazie all’impiego delle cariche cave (lo stesso principio dei proiettili che forano i carrarmati), che sono in grado di frantumare strati di roccia particolarmente duri. Questa tecnologia provoca la vaporizzazione e la dispersione dell’uranio nel terreno. Ma ci sono anche 100 invenzioni che riguardano i settori più disparati: dalle mazze da golf ai collari per cani ai respiratori subacquei. Potrebbe esserci l’uranio impoverito anche nelle nostre case, per esempio nei pannelli insonorizzati o nelle placche antiscasso per serrature. Per non parlare dei magneti impiegati in un’infinità di oggetti, dai motori elettrici ai microfoni, ai forni a microonde, alle televisioni e via elencando.

Ma non finisce qui. Leggendo la descrizione dei brevetti si scopre che l’industria si sta preparando a una produzione di massa di beni che utilizzano l’uranio. Sono numerosi, infatti, nuovi tipi di leghe, in particolare acciai, in sostituzione di metalli più costosi o ritenuti strategici (come vanadio, tungsteno, cromo, eccetera).

Insomma, siamo appena all’inizio dell’era dell’uranio. Stupisce e colpisce però che le stesse industrie riconoscano la pericolosità di questo metallo. Che ha la capacità di autoincendiarsi. La prova, curiosamente, è in alcuni brevetti, soprattutto giapponesi e americani, che riguardano sofisticati metodi di recupero dei frammenti di uranio impoverito dispersi nel terreno o nelle acque. Un mercato, quello delle scorie di uranio, di proporzioni enormi.

Una fabbrica di telefonini. Anch’essi possono contenere questo materiale (foto AP).

Il potere dell’uranio è un misto di segreti militari e di interessi economici di vasta portata. Un potere capace di condizionare il mercato internazionale dei metalli. Per esempio, l’uranio potrebbe essere sostituito agevolmente con il tungsteno. Ma i due maggiori produttori di questo metallo sono Russia e Cina. Ma più aumenta l’impiego e la richiesta di uranio impoverito e più diminuisce la domanda di tungsteno. Al punto che la Cina sta disperatamente cercando di proteggere la sua produzione, da tempo afflitta da un cronico eccesso di offerta. Il Paese asiatico controlla da solo l’80 per cento della produzione mondiale. Ma i signori dell’uranio e del nucleare non lasciano troppo spazio a questa alternativa più pulita. Meglio puntare sulle scorie nucleari, che stanno invadendo le nostre case, camuffate da oggetti innocui e familiari. Difendersi dall’assedio del "metallo del disonore", come recita il titolo di un libro, non è semplice.

Gli istituti di ricerca spesso sono controllati da chi ricava utili dall’industria dell’uranio. E il dubbio che tutti possiamo essere in qualche modo vittime ci assale. Per questa ragione, Marco Saba, nell’ambito del Progetto uranio impoverito dell’Osservatorio etico ambientale, ha promosso la raccolta dei dentini da latte. Un’iniziativa che nasce dalla ricerca svolta da Jay Gould, direttore negli Usa del Progetto salute pubblica e radiazioni. Ma perché analizzare i dentini?

Truppe britanniche con munizioni all’uranio impoverito durante la guerra del Golfo (foto Reuter).

«L’Italia del Nord è vicina a Paesi che hanno centrali nucleari: Francia, Svizzera, Slovenia, Germania», dice Saba. «Inoltre, sostanze radioattive derivanti dal riciclaggio di materiale radioattivo, effettuato negli ultimi 40 anni, finiscono nell’ambiente. Così come gli oggetti radioattivi finiscono negli inceneritori di rifiuti e la radioattività viene dispersa ovunque». L’esame dei dentini serve a rilevare la presenza dello stronzio-90, un elemento radioattivo, sottoprodotto delle attività nucleari. Un elemento tra i più mortali, chimicamente simile al calcio. Il nostro corpo lo accumula nelle ossa e nei denti dove continuamente emette radiazioni che provocano cancro, leucemia e abbassamento delle difese del sistema immunitario.

Giuseppe Altamore