Corriere della Sera, 3 gennaio
ROMA - Salvatore Carbonaro è morto di leucemia ...
http://www.corriere.it/edicola/index.jsp?path=ESTERI&doc=3

     ROMA - Salvatore Carbonaro è morto di leucemia extramidollare, una delle forme più gravi di tumore del sangue. E’ partito per la Bosnia che «scoppiava di salute», raccontano i suoi familiari. E’ rientrato in Italia in barella, con i primi segni di paralisi agli arti inferiori. E’ spirato a 24 anni, dopo 18 mesi di agonia. E’ rimasto lucido quasi sino alla fine. Al medico che l’ha visto spegnersi ha voluto strappare una promessa: «Ti devi battere perché altri ragazzi non debbano più patire le mie sofferenze». Annamaria Crema è specialista in medicina interna, medico volontario alla Casa di Emmaus, a Pavia, una struttura di accoglienza dove Salvatore trascorreva i periodi di riposo dopo i cicli di chemioterapia. Con Annamaria, Salvatore aveva stretto un’amicizia. Per i piccoli figli della dottoressa era divenuto un eroe. Per lei, il medico che anche del volontariato ha fatto una ragione di vita, era lui stesso una «sorta di figlio». Insieme ad Annamaria, quando il suo corpo ancora reagiva o quando era già paralizzato, Salvatore ha ripercorso pezzo dopo pezzo la sua esperienza in Bosnia.

Il giovane soldato era un armiere, puliva armi e munizioni, e per farlo usava benzene allo stato puro, una sostanza altamente tossica, un derivato del petrolio che può causare gravi forme di leucemia. Ad Annamaria, prima di morire, Salvatore ha descritto così il suo lavoro e l’ambiente dove lo svolgeva: «Era una stanzetta molto piccola, di pochi metri quadrati, senza finestre. Non sempre venivano osservate tutte le necessarie precauzioni. Più di una volta ho chiesto una mascherina per proteggermi dalle inalazioni, ma non sempre mi è stata fornita».

Una circostanza che dunque allarga anche al benzene, dopo l’uranio, la ricerca delle possibil cause di malattie mortali fra i militari. Un particolare che Annamaria proprio non riesce a spiegarsi: «L’inalazione del benzene è pericolosissima. La sostanza deriva dalla combustione del petrolio ed è altamente tossica. Tutti gli studi scientifici la inseriscono fra le maggiori cause dell’insorgenza di leucemie acute e croniche. Esiste anche una vasta casistica di operai, soprattutto nell’ industria della gomma, che hanno contratto la malattia dopo avere maneggiato benzene durante il processo produttivo. Francamente quello che è successo a Salvatore è una cosa ignobile. Ignobile in ogni caso, anche senza alcuna certezza di un nesso di causalità fra il suo lavoro di armiere e la contrazione della leucemia».

Nel racconto del medico rivivono le parole del giovane militare siciliano. A venti anni uomo già fatto, con una famiglia non ricca alle spalle, un dolore lancinante alla schiena da sopportare e lo spettro di un congedo vissuto come onta. Oltre alla salute stava per andare via anche lo stipendio, una voce del bilancio di due genitori non benestanti di Floridia, in provincia di Siracusa: «Arrivavo alla sera con le labbra che mi sanguinavano - ha raccontato Salvatore ad Annamaria -. Mi sanguinavano perché mi mordevo le labbra per il dolore insopportabile alla schiena. Ma dinanzi all’ipotesi del congedo anticipato ho resistito il più a lungo possibile, e sono riuscito a completare il periodo di servizio».

I primi dolori sono iniziati a quaranta giorni dalla data del rientro in Italia. Ma quando Salvatore ha chiesto ai superiori di poter andare via - racconta Annamaria - gli è stato risposto che in questo modo avrebbe messo a rischio la paga che si era guadagnato nell’intero periodo della missione: «E’ stato un vigliacco ricatto psicologico - si accalora Annamaria -. Salvatore ha un padre invalido e sentiva molto forte la responsabilità che derivava da quello che stava facendo. E’ rimasto in servizio nonostante fosse già febbricitante, con sintomi molto espliciti di astenia, e il forte dolore alla schiena».

Salvatore è rientrato in Italia a febbraio del 1999. A maggio è andato a curarsi a Pavia, dove è arrivato in condizioni molto gravi. La sua famiglia ha speso decine di milioni di lire per sostenere le spese di un trasferimento durato 18 mesi. Ora la sorella Natalina chiede giustizia e verità: «Speriamo che venga fatta chiarezza sulla morte di mio fratello. Su questa vicenda c’è qualche cosa che si vuole tenere nascosto. Vogliamo giustizia non solo per Salvatore, ma per tutti gli altri ragazzi che possono trovarsi nella stessa situazione. Non ci sono soldi per ricompensare la nostra perdita, l’unica cosa che ci può dare un po’ di sollievo è la verità. E’ un nostro diritto. Mio fratello era un ragazzo che aveva una voglia di vivere immensa, che non era mai stato male».

Prima di commuoversi il fratello di Salvatore, Mauro, esterna tutta la sua amarezza: «Ormai abbiamo abbandonato il ricorso al ministero della Difesa, al quale abbiamo chiesto il riconoscimento di morte per causa di servizio. Non ci hanno mai risposto. L’unica comunicazione è stata la richiesta di una cartella clinica che abbiamo già inviato. Da oltre venti giorni ho dato comunicazione della morte di mio fratello, ma ad oggi, ancora nessuna risposta. Non c’è stata una sola persona dell’esercito che è stata vicina a mio fratello durante la malattia».

Salvatore aveva preso il diploma di ragioniere con il massimo dei voti. Era orgoglioso di avere svolto due missioni di pace in Bosnia. Era convinto di poter sconfiggere la malattia. Ma nelle ultime settimane di agonia era rimasto lucido: «Dimmi quanto mi resta», chiedeva con insistenza ad Annamaria.

Marco Galluzzo