Corriere della Sera, 3 gennaio
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KOSOVO, UN DISASTRO AMBIENTALE
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di MASSIMO NAVA

  La questione dei proiettili all’uranio, che oggi tanto fa discutere, è in realtà ben nota da diversi mesi: è nota ai comandi della Nato, ovviamente, ma anche ai governi dell’Alleanza e a diversi organismi internazionali e dell’Onu (fra cui un dipartimento istituito ad hoc dall’Organizzazione mondiale della Sanità). Organismi che hanno condotto inchieste sul terreno dopo aver finalmente ottenuto informazioni dai vertici militari. Il «finalmente» è d’obbligo perché solo nell’autunno del ’99, e solo in seguito a pressanti richieste, la Nato ammise le dimensioni dell’impiego di questo tipo di armi: rivelò di aver sparato oltre trentamila proiettili all’uranio e ne rese nota la localizzazione. Le morti di questi giorni hanno soltanto impedito che sul problema venisse messa una sordina, come probabilmente si tentava di fare.

Ciò che invece rimane ancora nell’ombra e che va ben oltre la questione dell’uranio impoverito è lo spaventoso degrado ambientale provocato dai bombardamenti in tutta la regione balcanica lungo l’asse del Danubio. Scorie di industrie chimiche distrutte, residui tossici, scarichi di raffinerie incendiate, fuoriuscita di gas e combustibili hanno pesantemente compromesso l’aria e i terreni agricoli con conseguenze sicuramente molto gravi per la salute dei cittadini. Anche se mancano ancora dati scientifici certi, si rilevano aumenti di tumori e leucemie nella popolazione.

Parlare di questo, oltre che troppo o troppo poco di uranio, significa però porre qualche domanda in più. La prima riguarda i motivi dei danni economici e ambientali arrecati anche a Paesi estranei al conflitto e le ragioni strategiche della distruzione di infrastrutture lungo il Danubio. La seconda riguarda le asserite «ragioni umanitarie» della guerra, visto che oggi sappiamo che l’allarme uranio e il degrado ambientale non interessano «soltanto» la Serbia di Milosevic, ma anche gli albanesi del Kosovo, i musulmani della Bosnia, i contadini e i pescatori dell’Ungheria e della Romania, oltre a soldati e volontari impegnati nella missione di pace.

Ma porsi queste domande, vuol dire cercare anche le responsabilità di una catastrofe sanitaria e ambientale innescata con l’intento di impedire o arginare la catastrofe umanitaria del popolo kosovaro progettata da Milosevic. E se è vero, come sostiene Mattarella, che lasciando mano libera al regime di Belgrado oggi probabilmente avremmo milioni di profughi, è anche vero che in molti casi quei bombardamenti finirono addirittura per rendere gli esodi ancor più massicci, amplificando così gli effetti della crisi. E’ quindi giusto riflettere sulle modalità di qualsiasi intervento militare a scopi umanitari, non soltanto di quello attuato in Kosovo. Se è vero, come sostennero i governi dell’Alleanza, che non c’erano più margini di manovra per piegare Milosevic e salvare centinaia di migliaia di profughi, occorre almeno oggi spiegare la necessità di impiegare certi tipi di armi e di attuare una così sistematica distruzione territoriale, peraltro accompagnata (ecco un’altra verità documentata) da minimi danni al potenziale bellico jugoslavo.

Oggi che Milosevic non è più al potere la Serbia democratica ha avviato, sia pure con dubbi e incertezze, il percorso della ricerca della verità e della giustizia. Anche per l’Occidente - ora che non prevale più l’obbligo di fare muro contro Milosevic - è giunto forse il momento di riflettere sull’intervento in Kosovo, la cui legittimità, anche morale, rischia di essere almeno in parte oscurata da queste rivelazioni. Oggi, invece, si preferisce saldare il debito nei confronti del popolo serbo con generosi aiuti umanitari e con la velocissima riammissione della Jugoslavia in tutti gli organismi internazionali. Gli investimenti stranieri contribuiranno anche alla ricostruzione civile e al risanamento ambientale. E di questo passo, ci si dimenticherà sia dell’uranio, sia di Milosevic. Gli americani, dopo le elezioni, pensano a nuove generazioni di armi e al disimpegno nei Balcani. A noi europei resteranno soprattutto il costo e la gestione dei danni; in qualche caso, senza essere stati nemmeno informati.