Corriere della Sera, 31 dicembre
PARLA L’ONCOLOGO
«C’è qualcosa di strano Il numero dei malati è superiore alla media»
«Non si può escludere un legame tra leucemia e il tipo di proiettili usati»
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 Il problema che si pone in questo momento è cercare di capire se l'esposizione cui sono stati soggetti i nostri soldati in missione nei Balcani può essere stata la causa dei casi di leucemia registrati. Da un lato c'è chi nega qualunque relazione, dall'altro chi invece non ha dubbi: i proiettili all'uranio impoverito sono all'origine della malattia contratta dai soldati.

«Occorrerebbe sapere quanto tempo sono stati esposti alle radiazioni - spiega il professor Guido Biasco dell'Istituto di ematologia e oncologia medica «Seragnoli» del Policlinico Sant'Orsola dell'Università di Bologna -. Non si può escludere a priori che i casi di leucemia siano stati provocati dai proiettili all'uranio, come non si può sostenere che sicuramente non c'è relazione alcuna.

«Uno studio fatto dagli americani sui militari che hanno partecipato alla guerra del Golfo - continua il medico - suggerisce che chi era in prima linea, o comunque in zona d'azione, esposto a radioattività conseguente all’esplosione di proiettili fabbricati con uranio ha sviluppato un rischio di contrarre la leucemia o un linfoma ben 5 volte superiore a chi invece era negli uffici o, comunque, in retroguardia. Risultati che derivano da statistiche generiche possono portare a conclusioni poco affidabili».

Quanto tempo occorre tra l'esposizione alle radiazioni e l'insorgere della malattia?

«Dipende dall'individuo. In casi drammatici di esposizione massiccia, come a Hiroshima o a Cernobyl, i tumori sono insorti dopo pochi mesi e la loro crescita è stata incontrollata. Gli organismi che ne hanno assorbito piccole quantità, invece, reagiscono in modo diverso. Il tempo di latenza è variabile e dipende da numerosi fattori, tra cui l'età del soggetto: va da pochi mesi a molti anni. Si è osservato, comunque, che la comparsa di malattie neoplastiche si accentua nel periodo che va dai due ai cinque anni dall'esposizione».

Come può essere avvenuta l'esposizione dei militari?

«Per esempio, potrebbero aver respirato le polveri sollevate dall'esplosione provocata da un proiettile all'uranio impoverito o aver bevuto acqua contaminata dalle stesse polveri o mangiato frutta e verdura colpita da una nuvola radioattiva. Radioattività e fumo sono gli unici due agenti che non hanno bisogno di altri fattori, né ambientali né ereditari, per scatenare un tumore».

Non solo leucemia o linfomi.

«No, certo. Le particelle alfa emesse dall'uranio sono di due tipi: solubili e insolubili. Le prime in parte si eliminano, in parte sciolte viaggiano nell'organismo e si fissano successivamente, per esempio sulle ossa, sul fegato o sul cervello. Sono colpiti anche gli organi genitali e tutto l'apparato riproduttivo e, di conseguenza, vengono danneggiati spermatozoi e ovuli. Alcuni studi hanno messo in evidenza il sospetto (attenzione, il sospetto e non la certezza) che sia aumentata l'incidenza delle malformazioni congenite tra i figli dei reduci della guerra del Golfo».

In Italia ogni anno ci verificano più o meno un migliaio di leucemie acute, cioè uno ogni 60 mila abitanti, il 50 per cento delle quali guarisce. Nei Balcani si sono alternati più o meno 60 mila caschi blu italiani.

«Se i casi accertati di leucemia sono realmente 20 - conclude lo scienziato - ci sarebbe un'incidenza altissima: uno ogni tremila militari impegnati nella missione».

malberizzi@rcs.it