Corriere della Sera, 31 dicembre
Uranio, Intelisano vuole le carte Nato
Il procuratore militare indaga su una trentina di casi. Ma non ha ipotesi di reato
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     ROMA - La Nato aveva avvertito i militari impegnati nei Balcani della necessità di adottare precauzioni, soprattutto in presenza di proiettili esplosi e di residui di polvere da sparo nell’aria. I documenti che dimostrano l’esistenza di rischi per i soldati e i civili impegnati nelle missioni nell’ex Jugoslavia sono già sulla scrivania del procuratore militare Antonino Intelisano: il magistrato non si sbilancia ma la sensazione è che si sia già fatto un’idea sui rischi ai quali è stato esposto chiunque abbia prestato servizio nelle zone interessate dal conflitto. Ieri Intelisano ha disposto l’acquisizione delle carte sulla morte di Rinaldo Colombo, il carabiniere di 31 anni deceduto per un tumore l’8 novembre scorso dopo essere stato in Bosnia e in Albania: è il quinto decesso sospetto di militari che sono stati nei Paesi sconvolti dalla guerra. E presto partirà l’ennesima richiesta per il ministero della Difesa: il procuratore, dopo aver appreso dai giornali che la Nato ha ammesso di aver utilizzato proiettili all’uranio impoverito, vuole avere i dossier dell’Alleanza atlantica sulla composizione delle armi e sul loro impiego nei territori al di là dell’Adriatico. L’indagine riguarda oltre trenta casi. Ma nel fascicolo del magistrato non c’è, finora, alcuna ipotesi di reato. Tra i documenti, raccolti nella prima fase delle verifiche, ci sono alcuni testi tratti dalla letteratura scientifica internazionale: in nessuno di essi c’è la conferma che i proiettili contaminati provochino la leucemia. Una tesi condivisa dall’Anpa, l’Agenzia nazionale per l’ambiente: secondo gli esperti, le radiazioni dell’uranio impoverito sono del 40 per cento inferiori a quelle dell’uranio naturale. È invece accertato che l’inalazione di polveri di uranio produce una dose di radiazioni ai polmoni che si traduce in un aumento dei rischi di contrarre un tumore nell’arco di un periodo di tempo lungo 20-30 anni.

La morte di Rinaldo Colombo ha avuto l’effetto di riaccendere i riflettori sul problema. A rivelarla con un reportage è stato «Il Giornale dei Carabinieri», l’organo dell’Unarma che si occupa della vita e dei problemi della Benemerita. Al periodico sono arrivate segnalazioni di altri casi di militari dell’Arma sotto «osservazione» per aver contratto il cancro: sarebbero in tutto una decina, tra cui un ufficiale. E se da Varese, la città di cui era originario Colombo, il Comando dei carabinieri ha sostenuto che «attualmente negli atti non ci sono elementi tali da correlare la causa del decesso, un melanoma sottocutaneo, all’impiego del militare all’estero», il Cocer dell’Arma ha invitato ad approfondire gli accertamenti su tutti i casi. «Su questa vicenda occorre la massima attenzione - ha detto il presidente, colonnello Maurizio Scoppa -. Se anche solo una parte di quello che si sospetta fosse vero, sarebbe indispensabile prendere immediati provvedimenti cautelari, specialmente di carattere sanitario, sia nei confronti dei militari che sono stati impiegati nei Balcani negli anni passati, sia di quelli che si trovano tuttora in Kosovo e in Bosnia».

Il colonnello Scoppa ha sottolineato che «la priorità resta sempre la salute personale. Tuttavia, è indispensabile evitare inutili allarmi, dando per scontate cose che non sono ancora accertate». Un richiamo alla prudenza, quello del Cocer, simile a quello che arriva dal comando generale dell’Arma e da Intelisano. Sia i vertici di viale Romania sia il magistrato aspettano le conclusioni della commissione di esperti insediata dal ministro della Difesa Sergio Mattarella prima di adottare qualsiasi provvedimento.

Ma quanti sono i carabinieri inviati in missione nell’ex Jugoslavia? Dati ufficiali non ce ne sono, ma dalla fine del ’96 ad oggi ne dovrebbero essere stati impiegati tre-quattromila. Adesso ce ne sono 430 in Bosnia, 360 in Kosovo e una settantina in Albania. Altri sono in Libano, Cisgiordania e Guatemala: il periodo di permanenza all’estero, di solito, non supera i sei mesi. Molti di loro, però, attratti dal fascino dell’avventura e dalla possibilità di guadagnare parecchi soldi (una missione frutta attorno ai cinque milioni di lire in più al mese oltre allo stipendio) sono ripartiti dopo un breve periodo di riposo in Italia.

Dalla Città Verde, associazione ecologista aderente all’Osservatorio europeo sulla legalità e alla Lista Di Pietro, è partito un altro allarme per l’uranio impoverito. Secondo il responsabile del sodalizio, Adriano Ciccioni, viene utilizzato «come contrappeso nei timoni di profondità e negli alettoni direzionali di numerosi aerei di linea, tipo il Jumbo 747, e nella sanità per schermare i raggi gamma». L’associazione ha chiesto al presidente del Consiglio Giuliano Amato di avviare uno studio «sui rischi connessi alla diffusione sul territorio dell’uranio impoverito».

Flavio Haver