Corriere della Sera, 31 dicembre
I FAMILIARI DEL CARABINIERE
«Quando è partito per la Bosnia nostro figlio era sanissimo»
«In due anni d’inferno ha subito quattro operazioni per quel melanoma alla testa»
La vedova del maresciallo di Varese riceverà 700 mila lire di pensione al mese
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DAL NOSTRO INVIATO

CARNAGO (Varese) - «Dei proiettili all’uranio, io e mio marito abbiamo sentito parlare per la prima volta in questi giorni. Io non so cosa ha provocato la malattia di nostro figlio. Posso dire solo che, quando è partito per la Bosnia, era sanissimo. E che quel melanoma lo ha scoperto poco dopo essere tornato dalla seconda missione, in Albania». Non più di questo si sente di dire la signora Elda Colombo, dopo una giornata di dubbi sulle cause della morte del suo «unico figlio» Rinaldo, «carabiniere perché ha sempre creduto nell’Arma», stroncato da un tumore alla pelle, l’otto novembre scorso, dopo «due anni di tormento e quattro operazioni all’Istituto dei tumori di Milano». Mentre la donna scoppia a piangere, suo marito Angelo, capelli bianchi e viso stanchissimo, aggiunge un particolare: «Rinaldo ha scoperto quel grosso neo, una macchia di 3 centimetri, pettinandosi, nei primi giorni del 1998. Gli sembrava impossibile che fosse qualcosa di grave. Ma in maggio ha fatto le analisi e ne è risultato che quel melanoma era già del terzo livello: insomma, era lì da alcuni mesi».

Quanti, lo stabiliranno forse le inchieste già avviate per verificare se davvero la contaminazione da «uranio impoverito» possa rientrare fra le cause della morte del maresciallo Rinaldo Colombo, 31 anni, carabiniere da un decennio, dai tempi della leva a Bolzano, volontario prima in Bosnia, dal 9 dicembre ’96 al 27 marzo ’97, e poi in Albania, dal 24 aprile all’11 settembre ’97. I suoi genitori, indicando commossi «la sua stanza piena di encomi solenni», precisano che «alla partenza per la Bosnia aveva superato tutti i controlli sanitari: gliene hanno fatti tanti, che lui confidava di non poterne più». «Della guerra nei Balcani parlava poco - ricorda il padre - anche perché non era un esaltato: sono un uomo di pace, ripeteva. In Bosnia aveva lavorato nella polizia militare, con gli inglesi, e ci diceva: lì ci tornerei subito. In Albania invece confidava di essersi sentito mandato allo sbaraglio». All’anziano genitore ora trema la voce: «Non ci ha mai detto di aver maneggiato proiettili contaminati, ma non era nel suo stile parlare del servizio. Certo, però, che nella sua camera ci sono ancora le foto scattate in Bosnia in mezzo a tutte quelle armi».

Per dire addio al maresciallo Colombo, nella chiesa di San Macario a Samarate (Varese), in novembre «sono arrivati duecento carabinieri da tutta Italia», ricorda, con malinconia mista a orgoglio, mamma Elda: «Gli hanno fatto il presentat’arm, hanno suonato il silenzio, hanno recitato la preghiera del carabiniere... Significa che gli volevano bene». Un’amica di famiglia aggiunge che «ai funerali, quando la moglie Michela ha deposto sulla bara il suo berretto da carabiniere, piangevano tutti».

Rinaldo si era sposato nel dicembre ’98 temendo fino all’ultimo di dover rinviare le nozze per una nuova missione nei Balcani, poi cancellata proprio per la malattia. Ieri, nella sua casa, al piano terra di una villetta bianca con giardino di palme e bosso, tutte le finestre erano abbassate. Al primo piano, il padre di Michela scuote la testa: «Vorremmo capirlo anche noi perché è morto così giovane... L’avevano dimesso il giorno prima. Mi sembra ancora di vederlo, sdraiato sul suo lettino: da quella notte, non riesco più a liberarmi dal dolore che ho qui dentro», conclude, indicando il cuore. Anche la cognata Alessandra, dalla palazzina di fronte, dice di non averlo mai sentito parlare di uranio. Mentre sua madre precisa che «Michela non c’è: lavora in fabbrica e il padrone le ha dato un po’ di giorni liberi, perché ha capito quanto sta male».

Tra la Malpensa e Gallarate, nell’ultimo comando di compagnia di Rinaldo, c’è un graduato dei carabinieri che è appena tornato da «otto mesi in Bosnia» e che non crede alla «Sindrome dei Balcani»: «La contaminazione da uranio è solo un sospetto, senza conferme scientifiche. Se quei proiettili all’uranio sono così dannosi, non mi spiego perché gli americani li abbiano usati proprio dove c’erano le loro truppe. Comunque, ben venga l’allarmismo, se servirà ad avviare un protocollo di controlli sanitari su tutti i militari di ritorno da zone di guerra». «Unarma», il sindacato dei carabinieri che ha denunciato il caso, intanto avverte che «alla vedova di Colombo andrà solo la pensione di reversibilità da 700 mila lire: faremo il possibile perché le venga riconosciuta anche l’indennità per una morte provocata da ragioni di servizio». La stessa associazione sta raccogliendo elementi su «un’altra decina» di tumori sospetti: «Il nostro obiettivo - spiega un dirigente, Romeo Bellon - è arrivare a un bando dei proiettili all’uranio, come per le mine antiuomo».

Paolo Biondani