Corriere della Sera, 31 dicembre
Il governo: «Finora nessuna prova»
Cautela sulla «Sindrome dei Balcani» anche dopo la quinta morte sospetta
Dal ’95 a oggi circa 60 mila militari italiani hanno svolto servizio di pace nella ex Jugoslavia
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     ROMA - Sul tavolo del ministro della Difesa Sergio Mattarella c’è una cartella tenuta in evidenza. Contiene i nomi dei militari deceduti o ammalati al rientro da missioni nei Balcani. Alcuni casi sui quali grava un sospetto agghiacciante, e cioè che i danni fisici siano stati provocati dalle radiazioni dei proiettili all’uranio impoverito sparati dai caccia della Nato. E’ solo un sospetto, precisano i vertici della Difesa. E aggiungono che «finora non c’è nessuna prova in grado di stabilire un collegamento diretto fra il contatto con i proiettili all’uranio e l’insorgere della malattia». Proprio per questo il ministro Mattarella ha raccomandato a tutti i suoi collaboratori civili e militari la massima prudenza. Lui stesso fa sapere di «aver nominato una commissione scientifica presieduta dal professor Franco Mandelli» e aspetta che «gli specialisti dicano con chiarezza come stanno le cose». Se cioè è possibile che il contatto con quei proiettili all’uranio provochi la leucemia.

LE MISSIONI - «Le cause - dicono alla Difesa - potrebbero essere altre. Perciò solo un gruppo di professionisti rinomati, come quelli inseriti nella commissione scientifica, è in grado di offrire certezze, in modo da tranquillizzare anche le famiglie dei militari attualmente impegnati in Bosnia e in Kosovo».

La prima missione italiana nei Balcani risale al ’95, quando 2 mila nostri militari entrarono in Bosnia insieme ai soldati di altri Paesi per mantenere fra le montagne bosniache una situazione di pace. Da allora ogni 4 mesi i contingenti militari si sono dati il cambio. Poi si è aggiunto, da un anno e mezzo, l’impegno in Kosovo. E anche lì i reparti tornano a casa dopo 4 o 5 mesi e sono rimpiazzati da altri loro colleghi.

Vuol dire che dal ’95 a oggi circa 60 mila militari italiani hanno svolto servizio nei Balcani. Allora, ragionano al ministero della Difesa, invece di dare la colpa all’uranio perché non affidarsi alla statistica? In altre parole: su 60 mila potrebbe essere normale che una decina di persone accusino malattie.

Nelle zone balcaniche sono passati anche molti civili, 1.000 volontari appartenenti a 52 organizzazioni, oltre a 6.211 volontari impiegati dalla Protezione civile. E ancora: 2.419 dipendenti dalla Protezione civile, 3.792 volontari indipendenti e 700 persone della Croce Rossa. Nessuno sembra aver subito conseguenze.

I PROIETTILI - Sono all’uranio impoverito ( depleted uranium ): grandi spilloni sparati contro carri armati, la cui corazza è perforata solo da un materiale duro appunto come l’uranio. Gli aerei della Nato ne lanciarono 10.800 in Bosnia e 30 mila in Kosovo e Serbia. I comandi dell’Alleanza atlantica avevano comunicato ai governi alleati l’uso di questo tipo di arma. Difatti i dati sul numero dei proiettili impiegati furono resi noti al Parlamento da Carlo Scognamiglio, che allora era ministro della Difesa.

Solo i soldati italiani sembrano per adesso pagarne le conseguenze. Ma a Bruxelles i responsabili della Nato escludono che ci possa essere «un legame fra l’uso di proiettili all’uranio impoverito e i decessi dei militari», perché «gli studi medici esistenti negano qualsiasi rapporto diretto fra contatto e malattia».

L’EUROPA - In seguito a quello che sta avvenendo in Italia, è scattato l’allarme anche in altri Paesi. Il ministro della Difesa belga André Flahaut chiede alla presidenza dell’Unione Europea di occuparsi della vicenda. Mentre il governo di Lisbona ha deciso di sottoporre a controllo medico i 900 militari portoghesi impiegati in Kosovo. Un paracadutista portoghese è morto di tumore. Si era parlato anche per lui di proiettili all’uranio, ma il capo di stato maggiore dell’Esercito, il generale Martins Barrento, sostiene che si è trattato di una storia «inventata per pura paranoia».

In Germania, tutti i militari che tornano dalle zone balcaniche subiscono accertamenti medici molto accurati, ma finora non è venuto fuori nessun caso di contaminazione radioattiva.  Vuole vederci chiaro anche Valdo Spini che ha convocato per il 9 gennaio la commissione Difesa della Camera da lui p re sieduta. Mentre Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa, lamenta la mancata informazione sull’impiego dei proiettili all’uranio e se la prende con i servizi di sicurezza che sono stati incapaci di avvertire del pericolo.

Marco Nese