24 dicembre
Corriere della Sera
Un gruppo di scienziati emigrati dall’Italia si sono trovati a Frascati. Ora si cerca di tenerli uniti via Internet e di sapere quanti sono
«Cercai di tornare, mi dissero che ero troppo esperto»
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DAL NOSTRO INVIATO

FRASCATI - Sono 1.100 i ricercatori italiani emigrati nei Paesi europei e nelle Americhe. Sono soprattutto fisici, biologi e medici. Di tutti gli altri, però, dispersi nei continenti, quasi non c’è traccia. Esistono, ma quanti siano e che cosa facciano, nessuno lo sa. Una cinquantina di «esuli scientifici» provenienti da diverse nazioni si sono ritrovati presso l’Istituto nazionale di fisica nucleare per la prima conferenza «Italiani nel mondo» e hanno fornito al ministro della ricerca Ortensio Zecchino delle indicazioni per rompere l’isolamento e rendersi utili al Paese d’origine. Oggi è improprio parlare di «fuga dei cervelli», ammettono gli stessi studiosi: esiste semmai una «circolazione dei cervelli» prevalentemente temporanea. Tuttavia, dal momento che le istituzioni e il «sistema Italia» fanno poco o nulla per attrarli, alcuni decidono ancora di rimanere, anche se molti preferiscono rientrare. «Non ha senso far tornare scienziati da tempo all’estero. Semmai è prezioso stabilire dei rapporti per mandare presso i loro centri dei giovani al fine di elevarne la preparazione, trasferendola poi nella Penisola», dice Giorgio Bellettini, illustre fisico da anni al Fermilab di Chicago e uno degli scopritori del Quark Top.

Tutti, dove vivono, hanno raggiunto posizioni di rilievo e ricordano con amarezza le traversie che hanno dovuto superare. «Nel 1975 cercai di rientrare ma la cattedra all’università mi venne rifiutata perché avevo accumulato troppe pubblicazioni; ai loro occhi ero troppo esperto. Invece di essere un merito era diventato un demerito. Mi dissero che facevo sfigurare gli altri candidati rimasti in Italia. Se ero riuscito a ottenere tanti risultati - sottolinearono - ero stato fortunato », dice Vittorio Canuto , un fisico esperto di ambiente che lavora in un centro della Nasa all’Università di New York. «Ma prima di conquistare il posto negli Stati Uniti - continua - era stata dura e avevo lavorato in numerosi laboratori, in Olanda, in Gran Bretagna e in Messico».

Anche Michele Carbone, 40 anni, docente alla Loyola University di Chicago, oggi considerato il maggior esperto internazionale del mesotelioma, un tumore della pleura causato dall’amianto, ha cercato di ritornare. «Ho chiesto quali possibilità mi erano offerte e mi è stato risposto che la richiesta era arrogante e prima di avanzare pretese dovevo rendermi utile al gruppo. Così ho lasciato perdere e sono rimasto. In Italia tornerò quando andrò in pensione. In realtà mi dispiace e per fare comunque qualcosa ho aperto le porte del mio laboratorio a molti giovani italiani: quelli che vedo sono sempre i migliori, i più intraprendenti e non disposti ad accettare i compromessi».

Francesca Levi-Schaffer insegna alla Hebrew University di Gerusalemme ed è specialista di immunofarmacologia. Laureata a Milano, aveva studiato l’immunologia dei tumori. «Uno dei migliori centri al mondo per le mie ricerche era in Israele, all’Istituto Weizmann: fui la prima italiana ad entrare. Poi mi perfezionai alla Harvard Medical School negli Stati Uniti. Adesso ho il mio gruppo di ricerca all’università di Gerusalemme: mi occupo in particolare di asma, una patologia in grande aumento soprattutto nei Paesi sviluppati». E la ricerca in Italia? «Gli scienziati italiani meritano la lode: per riuscire a lavorare nelle condizioni in cui si trovano sono davvero bravi».

Roberto Crea, 52 anni, specialista nella sintesi del Dna, dopo la laurea a Pavia ha costruito invece una storia sfociata nel business che ora si ricollega all’Italia. Entrava alla Genentech, una delle prime società del nascente mondo della genetica, ne dirigeva il laboratorio di chimica del Dna e con un batterio produceva insulina umana conquistando notorietà internazionale. L’azienda, riconoscente, nel 1980 gli regalava un pacchetto di azioni. E così lui stesso diventava scienziato-manager fondando altre società. Ora pur vivendo negli Usa partecipa alla rinascita di un centro di ricerca in Basilicata sostenuto dalla Regione. Qui si produrranno piante capaci di decontaminare l’ambiente: «Da anni seguivo la situazione nella Penisola e ora mi sono reso conto che comunque anche in Italia qualcosa è cambiato: i cervelli ci sono e si può investire in iniziative di respiro internazionale», dice Crea. Un messaggio di ottimismo.  «Intanto il ministero degli Esteri - ricorda Stefano Cacciaguerra della direzione per la promozione e la cooperazione culturale - ha attivato una rete informatica per collegare fra loro i ricercatori italiani all’estero».



Commento: vittime della Guerra Fredda sono stati anche gli scienziati ai quali non è stato permesso di dire il vero sulla connessione tra i vari fallout nucleari, il cancro e le altre recenti pandemie.