Conferenza AITA (Assoc. Ital. di Tecnologia Alimentare) – Roma, 22 sett. 2000
Rivista della “Tecnologie Alimentari” n.2, marzo 2001

STATO E PROSPETTIVE DELLE TECNOLOGIE DI IRRAGGIAMENTO IN CAMPO ALIMENTARE
 
A.Tata
ENEA – Divisione Fisica Applicata
C.R.Casaccia, Via Anguillarese 301
00060 S.Maria di Galeria (Roma)
e-mail: tata@casaccia.enea.it

ABSTRACT

Il trattamento con radiazioni ionizzanti di prodotti alimentari da’ luogo ad un prolungamento della conservabilità e, soprattutto, ad un risanamento microbiologico da colonie batteriche e/o disinfestazione da insetti con sensibili vantaggi sul piano del controllo sanitario di malattie associate alla catena alimentare.

Il principale obiettivo del processo consiste cioè nel mantenere e assicurare la qualità igienico-sanitaria dei prodotti alimentari destinati al largo consumo, limitando le facili contaminazioni incrociate origine di notevole parte delle infezioni e tossinfezioni alimentari (ad es. generate da Salmonella, Campylobacter, Lysteria, etc.) la cui diffusione è registrata in forte crescita.

Al momento attuale circa 40 Paesi a livello mondiale hanno autorizzato la commercializzazione di oltre 45 diverse tipologie di prodotti, ed in 30 di essi le tecnologie di irraggiamento sono utilizzate industrialmente con circa 70 impianti per il trattamento di oltre 250,000 tonnellate annue di prodotti quali spezie, ortofrutticoli, carni avicole, etc.
Gli elevati costi impiantistici associati alla tecnologia e la necessità di superare carenze di corretta informazione dei consumatori appaiono, inoltre, sempre meno rilevanti alle aziende del settore nel confronto con i vantaggi di maggiore competitività (per effetto dei prodotti di migliore qualità) e con la necessità di rispettare le sempre più severe regolamentazioni ambientali sostituendo, ove possibile, i tradizionali prodotti di origine chimica.

1. ASPETTI GENERALI

Il processo di irraggiamento o ionizzazione delle sostanze alimentari consiste nel sottoporre per tempi definiti i prodotti alla energia radiante calibrata prodotta da particolari sorgenti di particelle accelerate o onde elettromagnetiche.
Gli effetti principali prodotti nelle sostanze alimentari consistono in un risanamento microbiologico da colonie batteriche e/o disinfestazione da insetti attraverso un processo di modifica degli organismi a livello molecolare, senza produrre negli alimenti alcuna modifica apprezzabile sul piano nutrizionale ed organolettico, e dando bensì luogo sia ad un sensibile miglioramento qualitativo dei prodotti sul piano sanitario (con significativa riduzione dei rischi associati a tossinfezioni alimentari), sia ad una marcata riduzione del deterioramento con conseguente prolungamento della conservabilità.
In particolare, l’assorbimento di energia radiante ionizzante da parte di un prodotto alimentare, in termini specifici di risanamento sanitario, da’ luogo ad una completa distruzione dei contaminanti biologici, ivi compresi gli organismi saprofiti, inattivando parzialmente o totalmente il materiale genetico (DNA) delle cellule viventi presenti nell’alimento attraverso “effetto diretti” di interazione o attraverso “effetti indiretti” dovuti ai radicali e ioni prodotti.
Le sorgenti di energia radiante commercialmente disponibili sono costituite dalla sorgenti di fotoni gamma (Cobalto-60) e dalle macchine acceleratrici di elettroni.

Il principale campo di applicazioni del Co-60 (radioisotopo a decadimento ?- con emissione di due fotoni gamma in coincidenza aventi energia media di 1.25 MeV), i cui principali fornitori sono costituiti dal Canada e dall’Argentina, è nella sterilizzazione industriale di dispositivi medici, sebbene non manchino anche altre applicazioni. Si calcola che vi siano attualmente nel mondo, con riferimento al Co-60, circa 200 installazioni industriali (di cui 4 in Italia), diffuse in circa 40 Paesi, per una attività installata di oltre 6x1018 Bq (il Becquerel (Bq) è l'unità di misura della “attività“, cioè la potenza, delle sorgenti di fotoni gamma e corrisponde ad  un decadimento pari ad 1 disintegrazione al secondo). Oltre il 70% di tali installazioni è dedicato ai processi di sterilizzazione di prodotti medicali, mentre si valuta che circa 40-50 impianti gamma siano operativi in campo alimentare.

Gli acceleratori industriali di elettroni sono prevalentemente utilizzati per processi di polimerizzazione indotta in materiali plastici (es. cavi elettrici, tubi, materiali isolanti, etc.) mediante elettroni ad alta energia (da 0.5 a 10 MeV), e per trattamenti superficiali (es. indurimento di vernici, reticolazione di film sottili, etc.) mediante elettroni a bassa energia (da 0.15 a 0.5 MeV). Le potenze massime sono di poche decine di kW per macchine a tensione medio-alta e fino ad alcune centinaia di kW per macchine a bassa tensione. Gli acceleratori di elettroni utilizzati in processi industriali sono nel mondo complessivamente circa 1000 (di cui ca. 15 in Italia), con un mercato prevalentemente dominato da fornitori giapponesi e statunitensi (altri fornitori sono in Belgio, Francia, Italia, Russia, Germania). Si valuta che gli impianti operativi in campo alimentare siano circa 10-20.

Per quanto concerne il trattamento delle derrate alimentari, con riferimento ad esempio ad un impianto industriale con  una carica iniziale di Co-60 dell'ordine di 3.7x1016 Bq (= 1 MCi, equivalente ad una macchina acceleratrice di elettroni con una potenza di circa 8-10 kW), è in grado di trattare, ad una dose di 10 kGy  (il gray (Gy) è l'unità di misura della dose assorbita e corrisponde ad un assorbimento di 1 Joule per kg di prodotto trattato), circa 2 ton/h di materiale tipo spezie o granaglie con densità di 0.8-1.0 g/cm3, oppure, considerando una dose di 3 kGy, oltre 6-7 ton/h di un prodotto come le fragole.
Con riferimento alle sorgenti di ionizzazione da utilizzare per il trattamento di derrate alimentari, il comitato misto di esperti FAO/IAEA/WHO (“Food Agriculture Organization”, “International Atomic Energy Agency”, “World Health Organization”) sulla salubrità degli alimenti ionizzati ha raccomandato fin dal 1981 un livello massimo di energia di 10 MeV nel caso di ionizzazione effettuata mediante elettroni e di 5 MeV per fotoni gamma o X; tali raccomandazioni sono state ulteriormente approvate anche dalla Commissione “Codex Alimentarius” fin dal 1984.

Per motivi sia di crescente disponibilità commerciale che di sicurezza, nonché per ragioni di convenienza economica, in particolare nel contesto della grande industria, le macchine acceleratrici di elettroni sono sempre più preferite alle sorgenti radioisotopiche, anche in ragione della possibilità di utilizzare, sia pur con rendimenti ancora dell’ordine del 15%, i fotoni X di frenamento (bremsstrahlung) prodotti dagli elettroni per superare eventuali problemi di penetrazione nel materiale da trattare.
 

2. PROCESSI IN CAMPO ALIMENTARE

I processi di ionizzazione sono utilizzati in campo alimentare con le seguenti finalità generali:
- decontaminazione  o risanamento microbiologico da microrganismi (riduzione/eliminazione di infezioni e tossinfezioni alimentari)
- disinfestazione da macrorganismi (riduzione/eliminazione di infezioni e tossinfezioni alimentari)
- riduzione del deperimento con conseguente prolungamento della conservazione (superamento quarantene)
- inibizione della germogliazione e ritardo della senescenza nei vegetali (prolungamento vita prodotti)
- sterilizzazione prodotti per diete speciali (ambienti ospedalieri).

Il processo di ionizzazione, sia pur con caratteristiche diverse, è stato ed è applicato a diverse tipologie di sostanze alimentari: in Tab.1 si riportano alcune delle principali finalità ottenibili attraverso l’uso di energie ionizzanti e le relative dosi utilizzabili.

Applicazioni a basse dosi       Dose (kGy)
-  Inibizione  della  germogliazione  in patate,  agli, cipolle      0.05-0.15
-  Sterilizzazione di insetti adulti per prevenire o limitare fenomeni di infestazione    0.10-0.30
-  Distruzione di insetti, incluse uova e larve,  per una completa disinfestazione     0.25-1.50
-  Distruzione di parassiti (es. nematodi, inclusa Trichinella spiralis, etc.)      0.25-0.50
-  Ritardo della maturazione in alcune tipologie di frutta e vegetali      0.25-1.00
-  Riduzione dei livelli di alcune contaminazioni  batteriche in carni e prodotti ittici    0.50-1.50
Applicazioni a dosi intermedie
- Riduzione di flora batterica e/o funghi in carni fresche, pollame ed altri prodotti (es. fragole)    1.00-3.00
-  Riduzione di muffe in cibi cotti al forno         2.00-4.00
-  Ritardo apertura cappelle e deterioramento  di  funghi        1.00-2.00
-  Distruzione dei principali ceppi batterici patogeni (es. Salmonella)  in  prodotti animali deperibili
 (es. pollame, latte e uova in polvere, etc.) e cibi congelati  (es. gamberetti, cosce di rana, etc.)   1.50-10.00
-  Sterilizzazione di materiali da imballaggio per  prodotti alimentari      3.00-10.00
-  Disinfestazione/igienizzazione di materiali granulari ed in polvere (spezie, granaglie)    5.00-10.0 0
Applicazioni ad alte dosi
-  Miglioramento della reidratazione di cibi disidratati        10.0-60.00
-  Sterilizzazione di carni precotte e di prodotti ittici in contenitori ermeticamente chiusi    10.0-50.00
-  Riduzione/eliminazione  di  contaminazioni  da  virus        10.0-100.00

 Tab.1 - Dosi ionizzanti utilizzate per il trattamento di derrate alimentari

Lo scopo principale è quello appunto di limitare il rischio di diffusione sia diretto, sia attraverso contaminazioni incrociate ("cross-contaminations") di varie malattie di origine alimentare: diversi alimenti crudi, infatti, (es. pollame o carni in generale), possono contenere agenti patogeni molto nocivi alla salute come ad esempio batteri quali Salmonella e Campylobacter e alcuni parassiti come Toxoplasma, Trichinella e Taenia.

Le infezioni e tossinfezioni alimentari costituiscono infatti un  grave problema per la salute umana e causano notevoli perdite economiche: a livello internazionale la WHO indica tali infezioni come la seconda causa di malattia in Europa, dopo le malattie del tratto respiratorio, mentre a livello nazionale si valuta che con riferimento alla sola salmonellosi, l'incidenza dei casi è dell’ordine di circa 35 casi/anno per 100,000 abitanti, cioè circa 20,000 casi/anno.

Nei Paesi meno avanzati tecnologicamente, e quindi privi in particolare di adeguate catene del freddo, invece, il problema del prolungamento della conservabilità dei cibi riveste primaria importanza, non inferiore allo stesso problema della diffusione di tossinfezioni alimentari: la FAO ha stimato infatti che nel mondo circa il 25% di tutta la produzione viene persa dopo il raccolto a causa di infestazioni di insetti, muffe, germinazioni premature, germogliazioni, etc. e tale problema è naturalmente accentuato nei Paesi delle aree tropicali e sub-tropicali.

La ionizzazione risulta dunque nei casi indicati un mezzo efficace per eliminare o ridurre il numero di agenti patogeni al di sotto della dose minima infettiva (nel caso più generale, ad esempio, di spezie sottoposte a dosi di 10 kGy si passa da livelli di 103-104 CFU(Colony Forming Unit)/g a tracce non rilevabili).

Va notato che i benefici effetti relativi alla decontaminazione ottenuti mediante ionizzazione non sono estendibili a tutti gli alimenti: ad esempio i buoni risultati conseguiti con le carni avicole non sono parimenti ottenuti nel caso del latte e suoi derivati, il cui trattamento può anzi favorirne la rancidità, a causa della perossidazione lipidica.

E’ doveroso ricordare che la ionizzazione non sostituisce le norme di "buona pratica di manifattura e produzione (GMP)" in quanto la tecnologia, non potendo rendere reversibile il processo di invecchiamento di un prodotto alimentare né migliorarne la qualità, non è in grado di recuperare le proprietà organolettiche, nutrizionali e igienico-sanitarie di un alimento che già presenti segni di deterioramento. Va quindi sottolineato che l'applicazione dell'irraggiamento costituisce ulteriore garanzia di validità del prodotto trattato.

Inoltre, la ionizzazione può giocare un ruolo importante nel ridurre in campo agro-alimentare l’uso di prodotti chimici che oltre ad essere di notevole pericolosità, sono sottoposti nei Paesi più avanzati a disposizioni e normative sempre più stringenti.
La tecnologia in esame può costituire cioè una valida alternativa ai processi di decontaminazione tradizionali attualmente utilizzati (fumigazione, trattamenti chimici, calore, etc.): U.S.A. e  Giappone, hanno infatti già bandito l'uso di alcuni fumiganti identificati come nocivi alla salute e all'ambiente. In particolare il dibromuro di metile è stato bandito in USA già dal 1984 e contestualmente è stata proibita l'importazione di derrate alimentari trattate con questo prodotto. Anche il bromuro di metile, il fumigante più utilizzato in agricoltura per combattere insetti e parassiti, sembra subirà lo stesso destino in quanto riconosciuto responsabile della distruzione della fascia di ozono. Secondo il Protocollo di Montreal, la produzione di bromuro di metile dovrà cessare nel 2005 nei Paesi avanzati (con progressione di una riduzione del 25% nel 1999, del 50% nel 2001 e del 70% nel 2003), sebbene in USA l’EPA (Environmental Protection Agency) abbia invece posto come data ultima il 31/12/2000. Per quanto riguarda invece l’ossido di etilene, ampiamente utilizzato per la decontaminazione di spezie, condimenti e vegetali disidratati da insetti e microrganismi, un divieto totale di utilizzo è stato emanato dall’Unione Europea a partire dall’1/1/1991.

A seguito, quindi, del suddetto orientamento generale, che tende a proibire e/o a ridurre l’uso di molti conservanti chimici e fumiganti, un significativo impulso è stato registrato da parte dei processi di ionizzazione alimentare per la igienizzazione di prodotti quali spezie, erbe e condimenti, il cui volume di produzione nel mondo è peraltro aumentato da circa 10,000 tonnellate nel 1990 ad oltre 60,000 tonnellate nel 1996, fino a circa 250,000 tonnellate nel 1999.
 

3. SICUREZZA DEGLI ALIMENTI TRATTATI

L’accertamento della sicurezza degli alimenti trattati con radiazioni ionizzanti è stato definitivamente acclarato fin dal 1980, quando, nell’ambito dell’iniziativa denominata “Codex Alimentarius”, un gruppo misto di esperti FAO (Food and Agriculture Organization)/ WHO (World Healh Organization / IAEA (International Atomic Energy Agency) ha stilato un rapporto, generato dall’analisi di dati raccolti a livello mondiale e discussi nell’ambito di convegni internazionali, in cui si garantisce la salubrità degli alimenti ionizzati e si dichiara che la ionizzazione di prodotti alimentari con dosi fino a 10 kGy non induce modifiche di tipo microbiologico, tossicologico, nutrizionale o mutagenico.

Sulla base di questo rapporto e di dati scientifici resi disponibili da comitati di esperti internazionali, nel 1983 la Commissione Codex Alimentarius (gruppo rappresentante più di 130 Paesi) ha considerato l'uso dell'irraggiamento come una tecnologia alimentare e ha adottato:
a) il Codex General Standard for Irradiated Foods;
b) Recommended International Code of Practice for the Operation of Radiation Facilities for the Treatment of Food (1984, FAO).
Il fatto che organizzazioni internazionali come l’WHO e la Commissione Codex Alimentarius abbiano limitato il livello di irraggiamento a 10 kGy è stato spesso interpretato come un limite oltre il quale si potrebbero produrre sostanze tossiche e, quindi, alterare la salubrità di un alimento. Per superare questa errata interpretazione e aprire nuove opportunità di applicazione dell’irraggiamento alimentare con dosi superiori ai 10 kGy (ad esempio sterilizzazione di cibi precotti a lunghissima conservazione, vitto per persone immunodepresse, emergenze in caso di calamità, etc.), l’WHO, FAO e IAEA nel 1997 hanno istituito un gruppo di studio che, dopo aver analizzato i numerosissimi dati disponibili, ha concluso che i cibi trattati con  tali dosi possono ritenersi sicuri e adeguati dal punto di vista nutrizionale: essi possono essere paragonati a quelli sterilizzati mediante processi termici e che l’uomo mangia da oltre un secolo. Una modifica del Codex con un allargamento della salubrità fino a dosi non limitate se non dai principi di GMP (Good Manufacturing Practice) e HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point)  è in corso.

Peraltro, la FDA nel 1995 ha approvato l’uso di carni congelate irraggiate con dosi di 44 kGy per la dieta degli astronauti della NASA e dal 1997 ha approvato anche il trattamento di carni rosse destinate al largo consumo.

La diffusione della ionizzazione su scala commerciale è stata preceduta dalla dimostrazione che essa, oltre a produrre gli effetti desiderati non genera effetti inaccettabili dal punto di vista nutrizionale, tossicologico, microbiologico, etc. e per questo sono state affrontate e analizzate le tematiche più significative per poter garantire la adeguata sicurezza nutrizionale degli alimenti sottoposti ad irraggiamento.

a) Aspetti nutrizionali ed organolettici

Il valore energetico dei cibi dipende dal loro contenuto in proteine, grassi e carboidrati che non vengono alterati dalla ionizzazione: si è visto che anche a dosi altissime (50 kGy) queste tre classi di macronutrienti risultano modificate con una percentuale inferiore all'1-2%. Tutte le sostanze in soluzione pura sono molto più sensibili alla ionizzazione di quanto non lo siano contenute nell'alimento.

Qualsiasi trattamento (riscaldamento, precottura, essiccamento, congelamento, refrigerazione, etc.) produce una perdita del contenuto in vitamine. La ionizzazione non fa eccezione ma produce un decadimento pari se non inferiore alle altre tecniche. Le perdite sono generalmente minori se si effettua un irraggiamento in assenza di ossigeno e a basse temperature. In condizioni ottimali, la perdita di vitamine in cibi irraggiati con dosi inferiori ad 1 kGy è da considerarsi insignificante; per dosi superiori l'effetto della ionizzazione dipende dal tipo di vitamina, dalla temperatura, dalla dose, dal cibo, dal confezionamento, ma rimane sostanzialmente in linea con le altre tecniche di conservazione.

Ogni alimento dovrebbe comunque essere considerato in relazione alla sua importanza nella dieta: ad esempio, una marcata perdita di vitamine nelle spezie non dovrebbe preoccupare visto che costituiscono una minima parte della dieta totale e, del resto, molti processi tradizionali di lavorazione come la cottura, il riscaldamento, etc., come già indicato, causano una perdita di queste sostanze spesso in termini superiori a quella indotta dalla ionizzazione.

Nella maggior parte dei casi, tale tecnologia non influenza sostanzialmente le caratteristiche organolettiche dei prodotti; tuttavia, qualora sia necessario utilizzare dosi più alte, che potrebbero comportare effetti indesiderati quali il rammollimento o lo scolorimento, si può intervenire con trattamenti combinati (temperatura, atmosfera di confezionamento, etc.).

b) Aspetti tossicologici

Sono stati valutati numerosissimi risultati ottenuti da studi pluridecennali riguardanti tutti gli aspetti della tossicologia compresi gli effetti cronici e subcronici, la teratogenesi e la mutagenesi; nel complesso non sono state rilevate  connessioni tra consumo di alimenti ionizzati e comparsa di effetti avversi.

c) Radicali liberi e prodotti radiolitici.

Per quanto concerne i radicali liberi e gli ioni prodotti dall'interazione delle radiazioni con la materia, la cui presenza da soli o in associazione con altre molecole provocherebbe l'accelerazione dei processi di invecchiamento o la creazione di nuove molecole tossiche,  è stato verificato da 50 anni di esperienze che la loro instabilità li porta ad una immediata ricombinazione con la formazione di prodotti radiolitici, di forma stabile. Questi ultimi sono identici a quelli prodotti da altri processi di conservazione (cottura, pastorizzazione, congelamento, esposizione al vapore, etc,) o già presenti in cibi non sottoposti a trattamento. I radicali liberi, che si formano durante i processi di ossidazione che avvengono naturalmente nei cibi, li troviamo, ad esempio, anche durante la maturazione di prodotti ortofrutticoli. In altre parole, i cibi ionizzati non presentano prodotti radiolitici o prodotti comunque riconducibili al processo di ionizzazione e in nessun modo pericolosi, tanto è vero che fino ad ora non si è ancora trovato un prodotto radiolitico riferibile specificamente all'irraggiamento.
In termini generali, da valutazioni della IAEA di Vienna, i prodotti radiolitici che si formano nei prodotti alimentari a seguito della ionizzazione, sono dell’ordine di 3 ppm, cioè corrispondenti ad una quantità particolarmente esigua e peraltro anche difficilmente rilevabile.

d) Effetti carcinogenici.

Non sono stati evidenziati effetti carcinogenici in ogni possibile caso fino a dosi di 10 kGy. Inoltre, dai numerosi studi condotti, è stato possibile concludere che nessun difetto trasmissibile genetico o teratogenico può essere associato all'assunzione di diete irraggiate.

e) Effetti su microrganismi e tossine.

Anche questo aspetto è stato ampiamente studiato, e dai vari studi condotti risulta che la ionizzazione non dà origine a problemi che non siano già stati riconosciuti, e affrontati, nel caso di altre procedure di lavorazione  degli alimenti,   allo
scopo di ridurne la carica microbica e/o distruggerne gli organismi patogeni. La questione della sicurezza microbiologica degli alimenti ionizzati solleva gli stessi problemi che sorgono con tutti gli altri metodi di lavorazione non sterilizzanti gli alimenti.

Sono state espresse preoccupazioni circa il rischio che questa tecnica, distruggendo gli abituali microrganismi saprofiti, possa permettere la crescita incontrollata di patogeni e rendere irriconoscibile un cibo dal punto di vista igienico-sanitario al consumatore, che basa il suo giudizio sulle proprietà organolettiche del prodotto. È dimostrato che, anche se la ionizzazione abbatte la carica microbica, non riesce a coprire i segni del deterioramento ma è pur vero che tale problematica coinvolge anche la pastorizzazione, i vari trattamenti chimici, etc.

Le analisi microbiologiche hanno riguardato anche con particolare attenzione il problema del botulismo e i risultati hanno dimostrato che il rischio di crescita significativa e produzione di tossine da parte del C. botulinum in alimenti irraggiati è estremamente remoto se i prodotti vengono conservati alle normali temperature di refrigerazione.

Va sottolineato che il cibo che deve essere processato, con qualsiasi metodo, deve essere di buona qualità,  maneggiato e preparato secondo  le regole di buona prassi di manifattura stabilite dalle autorità nazionali e internazionali; tali norme impongono per alimenti come pesce, carne e pollame specifiche temperature di stoccaggio, siano i prodotti irraggiati o no, per prevenire la crescita dei Clostridia.

Per quanto concerne le aflatossine, i dati scientifici disponibili dimostrano che, negli alimenti trattati e conservati in condizioni normali, i livelli generati sono trascurabili.

f) Effetti del trattamento su residui di pesticidi, additivi e conservanti.

Non ci sono risultati scientifici che dimostrino rischi per la salute dall' irraggiamento di cibo già contenente residui di pesticidi o additivi. In tal senso e per quanto concerne i pesticidi, l' FDA ha condotto degli studi su prodotti vegetali trattati con una dose di 1 kGy (in agricoltura, per scopi di disinfestazione si usano dosi molto più basse).
Supponendo un livello medio di residui di pesticidi di 1 ppm (parte per milione), è emerso che i prodotti radiolitici originati da questo residuo sono dello stesso ordine quantitativo indicato nel punto c), così come per gli additivi (coloranti, antiossidanti, conservanti che rappresentano dallo 0.01 allo 0.1% del peso totale di un alimento), in relazione ai quali sono stati condotti studi utilizzando dosi di 10 kGy. In entrambi i casi i prodotti radiolitici generati rappresentano una concentrazione estremamente bassa per poter essere nociva.

g) Radioattività dei prodotti trattati.

Per quanto riguarda la radioattività sia diretta che indotta, si rileva che le energie utilizzate nei processi sono molto al di sotto del livello di soglia minimo per indurre radioattività. È da tenere presente che, comunque, nella nostra dieta quotidiana sono presenti tracce di radioattività naturale per la presenza di elementi come il potassio ed anche ipotizzando una impropria esecuzione del trattamento di alimenti con energie di ionizzazione molto alte (ad esempio utilizzando macchine progettate per uso terapeutico in campo medico), il massimo livello di radioattività indotta sarebbe solo di 0.001 Bq per kg di prodotto: cioè 200,000 volte più basso del livello di radioattività naturalmente presente nel cibo, che è valutata, sulla base di una dieta media quotidiana, in 150-200 Bq.

Tra l'altro, a parte le derrate alimentari, molti altri materiali vengono commercialmente irraggiati durante il processo di fabbricazione, come ad esempio dispositivi e prodotti medicali, alcuni contenitori per alimenti, cosmetici, etc.
Anche per quanto riguarda contaminazioni radioattive dei prodotti da ionizzare è da escludere ogni pericolo, in quanto le sorgenti di Co-60 sono doppiamente incapsulate in acciaio inossidabile, mentre le macchine acceleratrici non utilizzano sostanze radioattive, escludendo per principio la possibilità di contaminazione.

h) Effetti sull'eventuale materiale di confezionamento.

Numerose ricerche sono state fatte anche per verificare l'esistenza di possibili rischi connessi alla ionizzazione di derrate alimentari a contatto con la plastica o con altri materiali usati per il confezionamento. Il materiale usato per la fabbricazione del packaging alimentare è costituito essenzialmente da polimeri in genere, polimeri alifatici, aromatici o copolimeri. Le ricerche, svolte in USA, Canada, Regno Unito etc., hanno dimostrato che tutti i materiali, testati tra quelli utilizzati più comunemente, sono risultati idonei fino a dosi di 10 kGy. I parametri analizzati sono stati principalmente la stabilità post-irraggiamento, la resistenza meccanica, la permeabilità all'acqua e ai gas e il rilascio di sostanze plastiche, additivi e adesive.

È da notare che molti materiali utilizzati per confezioni asettiche vengono attualmente già commercializzati ionizzati, come ad esempio i contenitori per prodotti caseari, creme, succhi di frutta, vino e tappi per bottiglie.

i) Identificazione dei cibi irradiati

Un cibo adeguatamente trattato è pressoché identico al prodotto d'origine, anzi, talmente difficilmente distinguibile che questo, paradossalmente, è un limite per lo sviluppo commerciale della tecnica.

La necessità di avvisare il consumatore con una etichetta, che il cibo è ionizzato, ha infatti rallentato in alcuni Paesi la diffusione della tecnologia poiché tale disposizione non è infatti solitamente richiesta per gli altri trattamenti di prolungamento conservazione. L'etichetta non dovrebbe servire solo ad identificare il cibo trattato, ma anche ad informare il consumatore sugli scopi ed i benefici del trattamento, e quindi sulla possibilità di poter acquistare un prodotto di qualità igienico-sanitaria senz'altro migliore.

La tendenza attuale dei produttori alimentari  che utilizzano tali tecniche (francesi e americani in particolare) è, comunque quella di pubblicizzare e non nascondere l'avvenuto trattamento, in quanto a garanzia di una migliore qualità del prodotto. La stessa Organizzazione Mondiale dei consumatori (IOCU) incoraggia l'utilizzo di questa tecnica, organizzando seminari e partecipando ai lavori dello specifico gruppo misto FAO/WHO/IAEA.  A livello internazionale l'ICGFI (International Consultative Group on Food Irradiation), un gruppo misto di esperti FAO/WHO/IAEA, ha redatto delle “linee guida” per la "buona prassi di irraggiamento (GIP-Good Irradiation Practice)" di varie tipologie di prodotti alimentari. Tali documenti, affrontando tutti gli aspetti del trattamento (dal controllo dell'impianto e del processo, all'addestramento di operatori e ispettori alimentari), forniscono un'ottima base per la preparazione di protocolli dettagliati necessari per una applicazione dell’irraggiamento su scala commerciale in regime di garanzia della qualità.

Nei Paesi dove la tecnologia è applicata a livello commerciale è prassi accettata l'utilizzo di una etichetta, o, meglio, di un "logo", definito e riconosciuto a livello internazionale, per permettere ai consumatori l'identificazione immediata di tali prodotti. In Italia la etichettattura dei prodotti alimentari irraggiati è regolata dal DLsl. n.109  del 27/01/92 emanato in attuazione delle Direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE.

Attualmente non è stato ancora sviluppato nessun metodo generale in grado di riconoscere la ionizzazione di qualsiasi tipologia alimentare e la dose impartita all'alimento; ciò è dovuto al fatto che il processo di ionizzazione non cambia fisicamente l'apparenza, la forma o la temperatura del prodotto, e del resto anche i cambiamenti dal punto di vista chimico sono trascurabili.

Negli ultimi anni sono stati comunque compiuti enormi progressi nello sviluppo di tecniche in grado di rilevare anche minime modifiche fisico-chimiche avvenute a carico di proteine, lipidi, carboidrati ed altri nutrienti. Al momento attuale, le uniche metodiche pronte per essere impiegate nell'ambito di studi multicentrici internazionali, per determinare l'avvenuta ionizzazione in carni, pesce, pollame e frutta, sono l'EPR (Electronic Paramagnetic Resonance) e la termoluminescenza.
Del resto anche per i cibi congelati o surgelati non esiste un metodo che consenta di verificare le eventuali fluttuazioni di temperatura che potrebbero verificarsi durante la fase di distribuzione del prodotto; neppure per i prodotti sterilizzati termicamente è possibile, dopo il trattamento, assicurare che il corretto regime tempo-temperatura sia stato applicato.
 

4. NORMATIVA, AUTORIZZAZIONI E SVILUPPO INDUSTRIALE

Per quanto riguarda la diffusione commerciale delle tecnologie suddette è da rilevare che sebbene la ricerca sui cibi ionizzati sia stata condotta per oltre 30 anni, una significativa diffusione a livello commerciale si è avuta solo in tempi relativamente recenti in ragione soprattutto sia della disponibilità industriale di sorgenti radianti economiche ed affidabili, sia per la accresciuta sensibilità a livello internazionale agli aspetti qualitativi e sanitari connessi all’alimentazione umana, con conseguente marcato interesse per tecniche, quali la ionizzazione, che sotto questi aspetti risultano al momento in posizione dominante.

La ionizzazione dei cibi offre, in aggiunta alla tradizionale e collaudata capacità di operare una riduzione del deperimento (con conseguente allungamento della conservazione), l’ulteriore beneficio, di particolare validità economico-commerciale nella moderna industria alimentare, di permettere una migliore protezione della salute pubblica, attraverso un miglioramento della qualità dei prodotti offerti al consumo per le sue capacità di disinfestazione e risanamento microbiologico, proponendosi come metodo di particolare e, talora, non eguagliabile efficacia nel confronto con i metodi tradizionali finora utilizzati.

Infatti, l’aspetto sanitario, ossia la possibilità di ridurre i pericoli di infezioni e tossinfezioni alimentari, ha dato nuovo impulso alla applicazione della ionizzazione ed in particolare ha fatto sì che ci fosse una notevole crescita anche nelle autorizzazioni per la commercializzazione di prodotti così trattati: al momento attuale sono circa 40 i Paesi che hanno emesso autorizzazioni all'uso della ionizzazione per il trattamento di oltre 45 diverse tipologie di derrate alimentari con varie finalità, ed in oltre 30 di tali Paesi (tra cui Francia, Olanda, U.S.A., Giappone, etc.) essa è già industrialmente diffusa per svariati prodotti quali spezie, carni avicole, ortofrutticoli, etc. Con riferimento esclusivamente alle applicazioni commerciali della tecnologia, sono attualmente funzionanti nel mondo oltre 70 impianti industriali, con un mercato delle derrate alimentari ionizzate pari a oltre 250,000 ton/anno.

In Italia, l’autorizzazione alla commercializzazione di derrate alimentari ionizzate è stata concessa in relazione a tuberi (agli, patate, cipolle) dal 1973 ed in relazione a spezie, erbe e condimenti dal 1996.

A livello europeo e U.E. in particolare, è da ritenersi di rilievo la proposta di Direttiva 89/C303/09 del 17.11.89, relativa al "riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti gli alimenti ed i loro ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti", che ha identificato otto tipologie di prodotti (es. frutta secca, legumi e ortaggi, erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti, carni di volatile disossate, etc.).

Successivamente alla proposta indicata, però, si sono manifestate in ambito comunitario alcune divergenze tra Paesi membri, per cui l'elenco suddetto è stato revisionato (proposta della Presidenza del 14.6.90) e ridotto temporaneamente solo ad erbe e spezie, rimandando alle sedi nazionali la concessione di autorizzazioni specifiche alla commercializzazione dei prodotti.

Con decisione del 27 ottobre 1997 però, il Consiglio d'Europa (Lussemburgo, 2035a Riunione) ha formalmente adottato le posizioni riguardanti la proposta di Direttiva relativa al "riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti gli alimenti ed i loro ingredienti trattati con radiazioni ionizzanti". Il compromesso raggiunto prevede l'adozione simultanea entro e non oltre il 31 dicembre 2002 di una “Direttiva quadro” e di una “Direttiva di applicazione” contenente un elenco positivo dei prodotti ionizzabili (che dovrebbe derivare dalle numerose autorizzazioni nazionali esistenti e dalla consultazione del Comitato scientifico dell'alimentazione umana).

La delibera del Consiglio, oltre a definire un termine temporale per la completa armonizzazione delle autorizzazioni alla commercializzazione di prodotti ionizzati, ribadisce testualmente che il trattamento ionizzante risulta di utilità per:
- ridurre il rischio di contrarre le malattie di natura alimentare distruggendo gli organismi patogeni;
- ridurre il deterioramento degli alimenti ritardando o arrestando il processo di decomposizione e distruggendo gli organismi che ne sono responsabili;
- ridurre le perdite di alimenti per maturazione, crescita o germinazione precoce;
- disinfestare gli alimenti dagli organismi nocivi per le piante o per i prodotti di origine vegetale.
In data 20 marzo 2000 è quindi diventata operativa la Direttiva 1999/2/CEE, relativa al riavvicinamento delle legislazioni dei Paesi Membri sui cibi irradiati; essa sancisce la piena commercializzazione a livello europeo di erbe e spezie e fissa altresì al 31/12/2000 la data ultima per la approvazione di un elenco allargato di prodotti che dovrebbe includere: carni avicole, prodotti ittici, frutti di mare e alcuni prodotti cerealicoli, ortofrutticoli e caseari.
 

5. ASPETTI ECONOMICI DEL TRATTAMENTO

Qualsiasi tipo di trattamento, sia esso refrigerazione, pastorizzazione, congelamento, fumigazione, etc. produce un costo aggiuntivo sul prezzo di mercato del prodotto, offrendo, di contro, vantaggi al consumatore in termini di miglioramento della qualità igienico-sanitaria, di disponibilità e quantità, prolungamento della conservazione, etc.

Per quanto riguarda la ionizzazione, il costo dipende da fattori diversi: dal tipo di trattamento richiesto (alta o bassa dose), dalla quantità di prodotto da trattare annualmente, dall'efficienza e dalla dimensione/potenzialità dell'impianto, nonché dalla necessita' di effettuare o meno trattamenti addizionale sul prodotto.

Sulla base dello sviluppo attuale della tecnologia, il costo di un impianto varia da alcune centinaia di milioni ad alcuni miliardi di lire e quindi risulta confrontabile come ordine di grandezza con quello di altri impianti alimentari ad alta tecnologia (ad esempio il costo di un impianto UHT di media grandezza per sterilizzare latte, succhi di frutta etc. è dell’ordine di circa 3 miliardi). Il costo unitario di trattamento (ved. Tab.2) varia da diverse decine di lire/kg per applicazioni con basse dosi (es. inibizione della germogliazione di tuberi), ad alcune centinaia di lire/kg per applicazioni con alte dosi (es. trattamento delle spezie).
 

Tipo di trattamento / prodotto Costo tratt.(Lit/kg)

bassa dose (<1 kGy)

generale disinfestazione 3-20

inibizione germogliazione tuberi 11-24

disinfestazione frutta (mele, ciliegie, etc) 10-18

tratt. antimuffa fragole 5 - 10

disinfestazione riso 55

disinf./decontaminaz. granaglie 55

abbattimento Trichinella in carni suine 35

media dose (1-10 kGy)

generale decontaminazione 40-160

risanamento microbiologico carni avicole 85

igienizzazione prodotti ittici 65-110

decontaminazione spezie 120-140

decontaminazione cacao 90-120

alta dose (>10  kGy)

generale sterilizzazione 50-150

sterilizzazione diete ospedaliere  125-210

 Tab. 2 - Costi unitari di trattamento mediante ionizzazione di derrate alimentari

Esistono comunque aziende che forniscono servizi di irraggiamento, cioè aziende dotate di un impianto di irraggiamento che viene messo a disposizione per trattare qualsiasi prodotto, evitando così sia l’impegno di ingenti capitali finanziari, sia la necessità di realizzare un impianto dedicato ad una unica tipologia alimentare, assai spesso stagionale.

Ricerche di mercato in USA hanno stabilito che il costo del trattamento ionizzante risulta già competitivo con altri metodi convenzionali: ad esempio si è valutato che il costo dell'irraggiamento per la disinfestazione della frutta risulta essere solo il 10-20% del costo del trattamento termico abitualmente utilizzato.

Un ulteriore vantaggio risiede nella limitazione delle perdite economiche che si hanno sia a seguito del deterioramento del prodotto, sia soprattutto sia a causa della diffusione di infezioni e tossinfezioni alimentari.
 

6. CONCLUSIONI

Il recente accresciuto interesse industriale verso i processi di irraggiamento in campo alimentare si basa soprattutto sui benefici economici e tecnologici rappresentati dall'inserimento di tale tecnologia in un contesto, quale quello alimentare, che in questi ultimi anni ha manifestato una profonda evoluzione.

La ionizzazione dei cibi offre infatti, in aggiunta alla tradizionale e collaudata capacità di operare una riduzione del deperimento (con conseguente allungamento della conservazione e senza lasciare alcun residuo sul prodotto), soprattutto il beneficio di una migliore qualità igienico-sanitaria dei prodotti offerti al consumo, riducendone i pericoli associati di tossinfezioni alimentari.

La situazione appare cioè mutata negli ultimi anni: le tecnologie di irraggiamento vengono considerate non più come un metodo di prolungamento della conservazione, bensì come una adeguata risposta alle crescenti esigenze di tipo igienico-sanitario del settore alimentare per le sue capacità di disinfestazione e risanamento microbiologico, proponendosi come metodo di particolare e, talora, non eguagliabile efficacia nel confronto con i metodi tradizionali finora utilizzati.
Negli ultimi dieci anni tutte le prove di mercato, effettuate su diverse tipologie di prodotti (mele, arance, fragole, papaja, mango, pesce essiccato, etc.) e in diverse parti del mondo (Francia, USA, Cina, Giappone, etc.), hanno dimostrato che non solo non esistono pregiudizi per l’acquisto di prodotti trattati (laddove il consumatore sia stato correttamente informato sulle reali possibilità e sicurezza di questa tecnologia), ma, a volte, è stato quello più venduto sia in ragione della riconosciuta maggiore salubrità, sia anche in ragione del fatto che il trattamento, essendo un valore aggiunto, viene solitamente eseguito preferibilmente su prodotti di ottima qualità.

Dal momento che i cibi ionizzati non possono, a meno di sofisticate analisi di laboratorio, essere riconosciuti dall’odore, dal sapore o dalla vista, rispetto a cibi freschi non trattati, è prassi accettata ed anzi auspicata (es. U.S.A.) l’apporvi una etichetta o meglio un “logo” con caratteristiche definite a livello internazionale per permettere ai consumatori la identificazione di tali prodotti.

Si rileva infine che i processi di ionizzazione delle derrate alimentari sono fortemente incoraggiati ai fini del più largo utilizzo dalle organizzazioni internazionali FAO, IAEA (e WHO), che insieme hanno messo a punto una normativa generale, il “Codex Alimentarius”, in cui, in particolare viene sancita la completa salubrità di qualsiasi cibo trattato con dosi pari a 10 kGy (limite in corso di revisione con un sensibile innalzamento fino a oltre 40 kGy) e vengono altresì anche definite dettagliatamente alcune specifiche procedure relative alla corretta esecuzione del trattamento, prendendo in esame tutti i parametri coinvolti nel processo.

Sulla base di quanto sopra nonché in considerazione della crescente sensibilità dei consumatori sugli aspetti qualitativi e sanitari connessi alla alimentazione (evidenziata anche delle recenti deliberazioni a livello di Organismi europei in relazione ai processi di ionizzazione di prodotti alimentari), è da ritenersi altamente probabile a breve termine anche in Italia, pur tenendo conto dei non trascurabili costi di impianto, un adeguato sviluppo industriale della tecnologia descritta, sia per una sempre migliore proposizione qualitativa di prodotti nazionali sul mercato interno ed estero, sia per un più adeguato ed efficace controllo sanitario dei cibi importati ai fini di una auspicabile riduzione dei casi di infezioni e tossinfezioni alimentari.



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