10.10.2000
Errori della Scienza
http://www.vaccinetwork.org/archivio/varie/2000/ottobre/091.10.00.html
Di Vincenzo Brancatisano

Nei giorni scorsi, in occasione della pubblicazione di uno studio dell’Università di Bologna, la stampa ha dato ampio risalto alle novità sull’helicobacter pylori, batterio ritenuto responsabile di ulcere e gastriti. Da quando questo batterio è stato scoperto si è quasi smesso di curare l’ulcera in modo sbagliato. Nessuno, tuttavia, ha sentito il bisogno di ricordare la figura del medico americano Barry Marshall, men che meno nessuno ha mai sentito il bisogno di mandargli una lettera di scuse. Ma chi è costui?

Come ricorda il giornalista Luc Burgin nel volume Errori della Scienza (Bompiani), negli anni Ottanta il medico australiano Barry Marshall osò sostenere l’esistenza di una connessione tra certi batteri e la comparsa di ulcere gastriche, mettendo in questo modo in cattiva luce la dottrina dominante secondo la quale l’ulcera doveva essere collegata a fattori psichici e all’uso di certi alimenti, censurando l’ipotesi che un batterio potesse sopravvivere mesi e anni a contatto con gli acidi dello stomaco, ipotesi che veniva definita inconciliabile con il buonsenso. Bisognava operare! In un Congresso di Microbiologia a Bruxelles, nel 1983, le reazioni dei presenti contro la scoperta di Marshall andarono dalla presa in giro alle violente proteste. La rivista prestigiosa "Lancet" - addirittura - si rifiutò di pubblicare gli studi di Marshall sul batterio che intanto aveva preso il nome di Helicobacter pylori.

Solo nel settembre 1995 Marshall ottiene uno tra i più solenni riconoscimenti, ricevendo a New York il prestigioso Premio Lasker-Award. "Devo riconoscere che Marshall aveva un’intuizione visionaria delle cose, una qualità di cui nel nostro campo c’è molto bisogno", commentò a quel punto Martin Blaser, direttore di una prestigiosa Divisione di Malattie Infettive, che però alcuni anni prima aveva dato a Marshall, con diverso tono, del "semplicemente pazzo".

Il caso Marshall si iscrive a buon titolo nella ricca casisitica di geni e personaggi della Medicina derisi dalla comunità scientifica a causa delle proprie idee rivoluzionarie. Nel 1628 il britannico William Harvey pubblicò un volume nel quale spiegava che negli esseri viventi il sangue circola, teoria quest’ultima che contraddiceva quella di Galeno universalmente accettata. Questa pubblicazione gli costò cara. Risulta ad esempio che i laureandi dell’Università di Bologna, nel 1650, venivano obbligati a firmare per iscritto il rifiuto della teoria di Harvey.

Carl Ludwig Schleich scoprì nel 1892 l’anestesia locale e viene zittito e censurato. Ad Alexander Fleming furono riservate le umiliazioni più basse quando annunciò nel 1928 che dalla muffa poteva essere tratta una sostanza, la penicillina, il farmaco che avrebbe salvato milioni di persone dalle malattie infettive. Solo nel 1941 questa scoperta fu presa in considerazione dalla comunità scientifica che oggi la ritiene ovvia. Sorte analoga per Albert Koch per la sua scoperta del bacillo della tubercolosi. E, un secolo fa, Louis Pasteur venne ridicolizzato per avere ipotizzato che organismi minuscoli, da lui definiti microbi, potessero causare alcune malattie. Si potrebbe continuare con Albert B. Sabin e il suo vaccino antipolio non gradito dagli Usa e ci si potrebbe soffermare sul caso dei fratelli Wright presi in giro persino dai giornalisti che non vollero credere ai loro occhi nel vedere un aereo di ferro strare in aria per decine di minuti, o sul caso Semmelweiss, oppure sul caso Galielei.

Tuttavia non si pensi che tali aneddoti facciano parte di un passato più o meno remoto. La tendenza della Comunità scientifica a creare paradigmi interpretativi immutabili che servono a preservare se stessa da "pericolose" novità è dura a morire. L’attualità del caso Marshall lo dimostra. Ne vogliamo un altro? Il medico Lawrence L. Craven, in California, fu il primo a rendersi conto che l’aspirina ostacola la coagulazione del sangue. Craven trasse dalle sue osservazioni cliniche alcune conseguenze pratiche e a partire dal 1950 prescrisse puntualmente questo farmaco ai pazienti a rischio di infarto. Il medico riferì del successo della sua teoria attraverso una pubblicazione su una rivista di medicina, ma ad essa seguì l’indifferenza sprezzante della comunità scientifica.

Solo più tardi a Craven venne riconosciuto il merito dall’American College of Chest Physicians, che consigliò l’aspirina nelle stesse dosi adottate da Craven. Oggi i cardiopatici assumono l’"aspirinetta": almeno una targhetta premio dagli Amici del Cuore, per solidarietà, ci starebbe. O no?

(su "VacciNetwork" del 10.10.2000)