Quando Bankitalia si arrampicò sugli specchi (11 ottobre)

Nota: piano piano ci rendiamo conto di quanto è vasto e strutturato il disegno contro l'esercizio della Sovranità Popolare.



Comparsa di costituzione e risposta per la BANCA D'ITALIA, Istituto di diritto pubblico con sede in Roma, via Nazionale 91 in persona del suo legale rappresentante pro tempora, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Vittimberga e Sergio Luciani e dal dott.proc. Marco Mancini dell'Avvocatura della Banca stessa, come da mandato in calce alla presente comparsa, domiciliata presso gli stessi in Roma, via Nazionale, 91 convenuta

  CONTRO

Auriti Giacinto, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Marzano e Berardino Ciucci e dal dott.proc. Antonio Pimpini, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv.to Giuseppe Marzano in Roma, via A.Traversari n.55, attore

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Con atto di citazione, notificato il 24 giugno 1994, il prof. Giacinto Auriti agendo sia in proprio quale cittadino italiano, sia quale legale rappresentante dell'Associazione Culturale "Alternativa Sociale per la Proprieta' di Popolo"(ASSPP) sostenendo che allo stato attuale nessuna legge indicherebbe il proprietario della moneta all'atto dell'emissione e lamentando che sino ad oggi, in base ad una consuetudine interpretativa contra legem, l'erogazione della moneta sarebbe "effettuata dalla banca centrale addebitando illegittimamente allo Stato ed alla collettività l'intero ammontare corrispettivo" in modo da conferire "solo la proprietà a titolo derivativo per il tempo limitato alla durata del prestito", ha convenuto la Banca d'Italia dinanzi al Tribunale di Roma per ivi sentir "dichiarare la moneta un bene reale conferito, all'atto dell'emissione, a titolo originario, in proprietà di tutti i cittadini appartenenti alla collettività nazionale italiana, con conseguente declaratoria d'illegittimità dell'attuale sistema dell'emissione monetaria che trasforma la banca centrale da ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari"..

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La domanda attorea nei confronti della Banca d'Italia deve essere respinta perché improponibile e/o inammissibile e comunque palesemente infondata nel merito.

La visione della moneta e delle funzioni monetarie che l'attore intende accreditare è palesemente distorta e completamente infondata. Da un punto di vista logico, e innanzitutto ben evidente che l'accettazione da parte della collettività, lungi dall'essere causa del valore della moneta, ne rappresenta in realtà solo l'effetto, sicché il sillogismo deve essere rovesciato: non e vero che la moneta vale in quanto è accettata, ma semmai, come la storia e la cronaca stanno a dimostrare, che essa è accettata solo in quanto abbia un valore. Di qui la necessità che tale valore, rispondendo ad un fondamentale interesse pubblico, sia difeso e garantito dalle Pubbliche Autorità, funzione nei moderni stati affidata alle banche centrali.

Sotto il profilo giuridico, poi, il batter moneta ha da sempre rappresentato e rappresenta tuttora una delle più evidenti e indiscusse espressioni della sovranità statale, sicché può correttamente affermarsi che il valore della moneta trae il proprio fondamento solo ed unicamente da norme dell'ordinamento statale, che, per solito, disciplinano minutamente la creazione e la circolazione della moneta, ne sanciscono l'efficacia liberatoria, ne sanzionano la mancata accettazione in pagamento e tutelano la fede pubblica contro la sua falsificazione ed alterazione.

Anche in Italia, questa fondamentale prerogativa sovrana dello Stato è compiutamente disciplinata dal legislatore sia per quanto attiene all'attribuzione della funzione di emissione, che in ordine alle relative modalità di esercizio.

La funzione di emettere moneta, affidata nella sua quasi totalità alla Banca d'Italia, sulla base di un rapporto avente natura concessoria, dall'art. 28 aprile 1910, n. 204, ha successivamente assunto il carattere di un'attribuzione istituzionale della Banca centrale, a seguito del R.D.L. 12 marzo i936, n. 371, e dell'art. 1 dello Statuto della stessa Banca, approvato con R.D. 11 giugno 1936, n. 1067, e successive modificazioni, a norma del quale essa è un istituto di diritto pubblico che, quale unico istituto di emissione, emette biglietti nei limiti e con le norme stabilite dalla legge.

In ordine alle modalità di esercizio di tale funzione, l'art. 4 del T.U. n. 204/1910 e il D.P.R. 9 ottobre 1981, n. 811, prevedono che alla fabbricazione del biglietto concorrano la Banca d'Italia e lo Stato, tramite il Ministero del tesoro, in modo che ne l'una ne l'altro possano formare un biglietto completo.

Mentre per la fabbricazione l'Istituto di emissione e il Ministero del tesoro hanno competenze congiunte e coordinate, le decisioni riguardanti la quantità dei biglietti da immettere nel mercato ed i tempi dell'immissione competono alla sola Banca quanto strumentali all'esercizio delle funzioni di controllo della liquidati del sistema e di salvaguardia del valore del metro monetario, affidatele nell'ordinamento italiano (T.U. n. 204/1910 e Statuto della Banca d'Italia, ma anche art. 47 della Costituzione) e ora trovanti fondamento, anche a livello comunitario, nell'art. 105 del Trattato di Maastricht sull'Unione Monetaria Europea.

Sia in ordine alla fabbricazione che all'emissione monetaria, l'attività della Banca d'Italia, pur caratterizzandosi per una forte discrezionalità tecnica, non è esente da vincoli e da controlli riguardanti la produzione dei biglietti, l'iter di emissione, l'annullamento e la distruzione delle banconote logore o danneggiate. In particolare, i tagli dei biglietti che possono essere emessi dalla Banca d'Italia sono stabiliti con legge, mentre le caratteristiche e le quantità dei biglietti da stampare vengono stabilite con distinti decreti del Ministro del tesoro. L'intera attività della Banca in questi campi e poi sottoposta alla vigilanza del Ministro del tesoro e di un'apposita commissione permanente di cui fanno parte, fra l'altro, anche sei parlamentari (artt. 108 ss. del T.U. n. 204/1910).

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Tanto premesso, va rilevato innanzi tutto che nell'esercizio della funzione di emissione, e attribuito alla pubblica amministrazione un potere discrezionale assoluto, prerogativa della sovranità statale, che trae fondamento dalla necessaria preminenza dell'interesse pubblico alla fabbricazione ed alla circolazione della moneta rispetto a tutti gli eventuali interessi privati che con esso possano confliggere. A fronte di tale potere, non esistono posizioni soggettive giuridicamente tutelate, bensì meri diritti civici al godimento di pubbliche funzioni. Ne discende il difetto assoluto di giurisdizione o, quantomeno, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

A ciò si aggiunga l'evidente carenza di interesse ad agire dell'attore, il quale ha promosso un'azione di accertamento senza che esistesse alcuna situazione di incertezza da rimuovere tant'è che l'emissione della moneta è compiutamente disciplinata dal legislatore in modo da non lasciare spazi all'immaginazione o alla fantasia né alcun pregiudizio, anche soltanto potenziale, per l'attore in proprio o per l'associazione che lo stesso asserisce di rappresentare.

La domanda attorea è poi, anche nel merito, destituita del benché minimo fondamento.

Essa muove, infatti, dalla premessa, completamente errata, secondo cui difetterebbe nel nostro ordinamento una norma di legge che indichi il proprietario della moneta all'atto dell'emissione, sicché l'appropriazione della stessa da parte della Banca d'Italia si baserebbe su una consuetudine interpretativa contra legem.

Ebbene, alla stregua della puntuale disciplina della funzione di emissione, i biglietti appena prodotti dall'officina fabbricazione biglietti della Banca d'Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese (art. 4, comma 5, del T.U n. 204/1910). Essi acquistano la loro funzione e il valore di moneta solo nel momento, logicamente e cronologicamente successivo, in cui la Banca d'Italia li immette nel mercato trasferendone la relativa proprietà ai percettori.

Tale immissione, che rappresenta uno dei principali strumenti a disposizione della Banca centrale per l'esercizio delle cennate funzioni di regolazione della liquidita' del sistema e di tutela del valore del metro monetario, avviene tramite operazioni che l'Istituto di emissione, in piena autonomia conclude con il Tesoro, con il sistema bancario, con l'estero e con i mercati monetario e finanziario, operazioni tutte previste e compiutamente disciplinate dalla legge e dallo statuto della Banca d'Italia (artt. 25 - 42 del T.U. n. 204/1910 e artt. 41 - 53 dello Statuto)

Alla luce di quanto sinora precisato, è del tutto abnorme e campata in aria l'affermazione dell'attore secondo cui esisterebbe una consuetudine interpretativa contra legem, in base alla quale la Banca centrale all'atto dell'emissione "mutua allo Stato italiano ed alla Collettività Nazionale, tutto il danaro che pone in circolazione". Come visto, la moneta viene infatti immessa nel mercato in base ad operazioni legislativamente previste e disciplinate, a seguito del compimento delle quali la Banca d'Italia cede la proprietà dei biglietti, i quali, in tale momento, come circolante, vengono appostati al passivo nelle scritture contabili dell'Istituto di emissione, acquistando in contropartita, o ricevendo in pegno, altri beni o valori mobiliari (titoli, valute, ecc.) che vengono, invece, appostati nell'attivo.

Tali operazioni trovano evidenza, come prescrive la legge, nella situazione della Banca d'Italia mensilmente pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.

Se si considera oltretutto che, come gia' osservato, le spese di fabbricazione dei biglietti e l'imposta di bollo sono a carico della Banca centrale e che gli utili annuali da essa conseguiti, effettuati i prelevamenti e le distribuzioni di cui all'art. 54 dello Statuto, ai sensi dell'art. 23 del T.U. n. 204/1910 vengono devoluti allo Stato, si evidenzia altresì l'assoluta inconsistenza ed insensatezza delle tesi attoree, secondo cui l'erogazione della moneta sarebbe effettuata dalla Banca d'Italia addebbitandone allo Stato ed alla collettività l'intero ammontare senza corrispettivo.

Ne consegue, pertanto, che non è dato riscontrare alcunché di arbitrario o di illegittimo nelle prerogative esercitate in campo monetario dalla Banca centrale, perché, contrariamente a quanto preteso dall'attore, l'intera materia è compiutamente disciplinata dal legislatore, in modo tale che nessun aspetto attinente all'attribuzione o all'esercizio della funzione di emissione può dirsi regolamentato da consuetudini interpretative e, men che mai, da consuetudini contra legem.

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Alla luce delle suesposte considerazioni, si confida nella reiezione, da parte dell'intestato Tribunale, della domanda proposta dal prof. Auriti, della quale è difficile persino comprendere l'oggetto (art. 163, 3ø comma, n. 3, e art. 164, 1ø comma, c.p.c.), con condanna dell'attore, non solo alla refusione delle spese di lite, ma altresì al risarcimento dei danni ex art.96 c.p.c., atteso che, anche a considerare con la miglior benevolenza l'azione da questi intentata, riesce difficile non ravvisarvi il carattere della "temerarietà".

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Tutto ciò premesso, la Banca d'Italia, come sopra rappresentata e difesa, formula le seguenti

   CONCLUSIONI

"Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza e deduzione reiette, respingere la domanda attorea siccome improponibile e/o inammissibile e, comunque, infondata nel merito. Condannare, in ogni caso, l'attore alla refusione delle spese di lite nonché al risarcimento dei danni causati e causandi ai sensi dell'art.96 c.p.c., nell'importo che riterrà di liquidare in via equitativa".

Con ogni più ampia riserva e salvezza anche di richieste istruttorie. Roma, 20 settembre 1994