La Piovra esce allo scoperto: il nuovo libro di Cossiga (22 novembre)

"Quanta fretta, ma dove corri, dove vai? Se ti fermi per un momento, capirai. Io il Gatto e lui la Volpe, siamo in società! Di noi - ti puoi - fidar..."
da una canzone di Edoardo Bennato

Corriere della Sera (22 novembre 2000)
COSSIGA Il mio processo al Novecento
  «De Mita rivoluzionario a patto che il vero protagonista sia lui» «Di Pietro è di estrema destra E nessuno mi convincerà che Craxi fosse un ladro». E Fazio ha nostalgia per i politici degli anni Cinquanta
Franchi Paolo

CONFESSIONI Mezzo secolo di vita politica nel libro intervista dell' ex presidente della Repubblica: i giudizi sugli amici di ieri, da De Gasperi a Moro, e sui protagonisti di oggi, da D'Alema a Berlusconi COSSIGA Il mio processo al Novecento di PAOLO FRANCHI Era difficile, onestamente, immaginare che da settantadue anni o giù di lì un Omino Bianco seduttivo e divertente e un Omino Nero pessimista e distruttivo si contendessero, con alterne fortune, la vita di Francesco Cossiga. Adesso, però, è Cossiga in persona a rivelarcelo, in una bella conversazione con Piero Testoni (La passione e la politica, Rizzoli), prefata da Antonio Fazio e seguita, a mo' di appendice, da quindici documenti, in massima parte lettere. E, a scorrere il libro, vien fatto di pensare che la rivelazione, scherzosa e autoironica, certo, sia pure, a modo suo, assolutamente veritiera. Cosicché sembra lecito chiedersi quando a parlare, formulando taglienti giudizi controcorrente sugli uomini e sulle cose, sia l'Omino Bianco, e quando, invece, l' Omino Nero; o se piuttosto le due voci siano a loro modo complementari. Forse, per questo libro almeno, la seconda ipotesi è la più veritiera. Anche perché, per parafrasare il titolo del libro, la passione più bruciante di Cossiga è, senza dubbio alcuno, la politica. La politica «come forma più diretta e immediata di pensare... di riflettere sulla storia, sulla filosofia, sullo stesso agire dell' uomo», certo. Ma anche la politica come lotta dura, senza esclusione di colpi: come «calcio all' americana», sintetizza il Nostro, che pure non è uomo di sport. Ed è la politica di oggi, ma anche e forse soprattutto quella degli ultimi cinquant' anni, quella alta e quella bassa, con le mosse fatte e quelle subìte, che Cossiga ci racconta, per come la hanno vissuta e la vivono l' Omino Bianco e l' Omino Nero che coesistono in lui. Il risultato, è quasi inutile dirlo, è affascinante, almeno agli occhi di chi per la politica (quella vera, non ancora ridotta a tecnica o a sondaggio) ha mantenuto, nonostante tutto, un po' di passione. E fa nulla che ci convinca o no il ruolo che il Nostro assegna a sé e agli altri in questo o quel frangente, si tratti di Gladio, del governo D'Alema o del rinnovato rapporto con Silvio Berlusconi. Molto, ma molto più appassionante, politicamente parlando, ci pare, per fare qualche esempio, il suo rapporto, che potremmo definire di odio-amore, con il Pci, un partito, dice lui, che pure ne è stato fiero avversario, senza il quale in Italia, negli anni della Guerra Fredda, avrebbe potuto affermarsi «un governo autoritario». Molto, ma molto più interessante, è il giudizio severo del cattolico liberale Cossiga (pure grande ammiratore di Pio XII) sul ruolo della Chiesa nella storia italiana: senza l'appoggio della Chiesa, il fascismo «forse sarebbe nato, ma non avrebbe messo radici nella società italiana e internazionale», anche a causa della Chiesa, non fosse stato per Alcide De Gasperi, «stava per naufragare anche il tentativo della Dc». Molto, ma molto più significativo, oltre che, ovviamente, anticonformista, è, a proposito della Dc, il recupero del «grande doroteismo», quello che, archiviate le utopie dirigistiche e organizzativistiche della stagione fanfaniana, riuscì a rappresentare «l' insieme di tutto l' esistente». Si potrebbe, ovviamente, continuare a lungo, perché non c' è praticamente passaggio cruciale della vicenda italiana (dal primo centrosinistra all' unità nazionale, dal sequestro Moro all' agonia della Prima Repubblica che lo vide al Quirinale nei panni inediti del Picconatore) su cui Cossiga non si soffermi, spesso rivelandone aspetti inediti, o sconosciuti ai più. Ma più intriganti ancora dei giudizi cossighiani sugli eventi, e spesso più sorprendenti, sono forse quelli sugli uomini che degli eventi sono stati protagonisti o comprimari. Chi avrebbe voluto essere Cossiga, se non fosse stato Cossiga? Il più intelligente e il più «grande doroteo» di tutti, Aldo Moro, quel Moro che, dice, «voleva essere il mio Pigmalione politico, preparandomi in alternativa a Giulio Andreotti»; che, sorpresa, ben più di Andreotti era appassionato, come Cossiga, alle cose di intelligence; e che, negli anni di Mani pulite, «avrebbe difeso tutti» . E Andreotti? Bravissimo. Peccato che la sua caratteristica fondamentale sia quella di essere soprattutto «un grande servitore della Chiesa nella politica italiana», nel senso che «crede fortissimamente in Dio, ma forse solo in Lui». E De Mita? Bravissimo anche lui, ma anche lui, diciamo così, molto particolare: «E' rivoluzionario a una condizione: che la rivoluzione l' abbia pensata lui, l' abbia organizzata, la guidi lui, e che sia fatta d'accordo con i comunisti, senza la cui presenza egli - che li detesta! - ritiene non poter esserci, in Italia, democrazia». Anche qui, si potrebbe continuare, da Antonio Segni al cugino Enrico Berlinguer, da Mariano Rumor (sorprendentemente rivalutato) a Giovanni Spadolini. Ma più attuale, umanamente e politicamente, è il ricordo, dolente e lucido, di Bettino Craxi. Cossiga ne rievoca gli errori fondamentali: la rinuncia cioè, agli inizi degli anni Novanta, alle ambizioni riformatrici che pure aveva incarnato per legarsi alla «conservazione» democristiana, e l' aver voluto proprio lui, «un uomo nato per fare il politico», trasformare il Psi in un grande partito «esclusivamente come lo aveva fatto la Dc, e quindi con i denari». E tuttavia, annota, «nessuno mi convincerà mai che fosse un ladro» , contro di lui, aggiunge, «c' è stata la vendetta di una cultura e di una politica». I comunisti? Certo. Un pezzo della magistratura, soprattutto quell' Antonio Di Pietro che pure all' inizio Cossiga aveva apprezzato, che aveva aiutato a mettersi d' accordo con D' Alema e che oggi descrive come «un uomo di estrema destra»? Anche. Ma Cossiga resta convinto che negli anni di Tangentopoli buona parte della Dc pensasse che i magistrati si sarebbero fermati, non senza aver prima sgombrato il terreno dagli odiati socialisti, che avevano osato farle concorrenza: quella stessa parte grande della Dc che, perduta ormai la sua «spinta propulsiva», mentre lui picconava dal Quirinale gli dava del matto. Storie di ieri? Sì, ma fino a un certo punto. Perché il Cossiga che non si capacita ancora esattamente del come e del perché Achille Occhetto rispose con una richiesta di impeachment all'appello alla pacificazione da lui lanciato nel ' 91 a Edimburgo, è lo stesso che, sette anni dopo, torna a dichiarare chiusa la Guerra Fredda, e apre a D' Alema la via di Palazzo Chigi. E' andato come è andato, quel «centro-sinistra di stampo europeo» guidato, con il Picconatore a far da garante, dal leader postcomunista. Ma a Cossiga, che il centro del centro-sinistra non è riuscito a farlo, e le sue attenzioni è tornato a dedicarle a Berlusconi, il «leninista» D' Alema resta simpatico lo stesso. Anche perché, sostiene, ha una concezione della politica simile alla sua: «Come dico sempre, abbiamo attaccato entrambi manifesti con la colla di farina e abbiamo fatto anche a botte per difenderli...». Non basta, certo, a indurre il democristiano impenitente a trasformarsi in uomo della sinistra: se bipolarismo ha da essere, e Cossiga è convinto di sì, Berlusconi è politicamente più vicino, non foss' altro perché «senza i milioni di voti di centro che oggi sono in Forza Italia il centro che ho in mente io non si fa». Ma il personaggio Berlusconi, l' uomo di cui è impossibile immaginare «che esca al mattino senza un bottone», gli resta distante. Così che, per sentirlo più prossimo, Cossiga non resiste alla voglia di esprimere un desiderio: «Vorrei vedere una volta Berlusconi in mutande... che si alza di notte per una necessità e naturalmente non sa di essere visto». Chissà se a suggerirgli queste parole è stato l' Omino Bianco o l' Omino Nero. Il libro di Francesco Cossiga con Piero Testoni e prefazione di Antonio Fazio, «La passione e la politica» (pagine 430, lire 35.000) esce oggi da Rizzoli.

LA PREFAZIONE
E Fazio ha nostalgia per i politici degli anni Cinquanta

La prefazione al libro di Francesco Cossiga ha una firma d' eccezione: il governatore della Banca d' Italia Antonio Fazio. Il diario «di un protagonista della vita politica italiana», che ha vissuto «gli anni più complessi dell' ultimo mezzo secolo», offre a Fazio l' occasione di una riflessione più ampia. A partire da una caratteristica dell' ex presidente che al governatore appare la «cifra della sua opera»: «la sua capacità di antivedere». Fazio fa riferimento in particolare a come il senatore abbia saputo cogliere «il passaggio di fase che si sarebbe determinato con la caduta del Muro di Berlino». Non ci si trovava allora alla vigilia di una nuova era di pace, ma, come il senatore «in quel momento unico uomo politico» previde, si entrava in una fase di «ricerca di nuovi equilibri, attraverso nuovi traumi». «L'obiettivo dell' allargamento della democrazia da allora è stato un assillo dell' azione di Cossiga », nella convinzione che fosse «necessario attivare un processo profondo di ristrutturazione delle istituzioni». Ed ecco il punto: «Oggi è più che mai viva l' esigenza di un rinnovato spirito pubblico». E «si riaffaccia la nostalgia dei grandi statisti degli anni Cinquanta che seppero imprimere all' economia e alla società italiana un decisivo impulso verso la crescita e l' ammodernamento». Perché a cinquant' anni dalla seconda guerra mondiale «l' Italia ha fatto grandi progressi» ma «restano problemi e squilibri». Per affrontarli bisogna puntare verso «la promozione di una maggiore capacità competitiva, lo stimolo della innovazione produttiva, l' introduzione di nuove relazioni industriali». L'intervento pubblico in economia va rivisitato, lo Stato sociale riconcepito. «Fondamentale è crescere, nella stabilità, e saper competere, disponendo di un avanzato capitale umano, soprattutto nel campo della nuova economia». Contribuendo a dar vita sul piano globale a «un nuovo ordine economico internazionale». «Si sente acuto - conclude Fazio - il bisogno di un pensare in grande» e dunque di «un personaggio forte» come Cossiga, senza il cui apporto «la dialettica democratica avrebbe certamente minore linfa e invece, oggi come sempre, di dialettica e di grandi sintesi abbiamo acuto bisogno».



Corriere della Sera (19 novembre 2000)
Fazio scrive la prefazione al libro di Cossiga

«La passione e la politica» mercoledì nelle librerie. L' anticipazione sull' «Irish Times» Fazio scrive la prefazione al libro di Cossiga (L. Fu.) Se non fosse nato in Sardegna e avesse potuto scegliersi un'altra patria Francesco Cossiga avrebbe optato per l' Irlanda. E all' Irlanda dedica un capitolo del suo libro «La passione e la politica» scritto con l' aiuto del giornalista Piero Testoni. Il volume edito da Rizzoli sarà nelle librerie il prossimo mercoledì e lo stesso giorno Cossiga sarà il protagonista con altri ospiti eccellenti del «Porta a porta» di Bruno Vespa. Dato il profilo dell' autore sarebbe stato naturale che a fornire delle anticipazioni sul libro fosse un giornale italiano. E invece no. Il primo a parlarne è stato il dublinese «The Irish Times» nell' edizione di ieri. Renagh Holohan, curatrice di «Quidnunc», una rubrica di gossip di politica interna molto seguita, rivela l' amore dell' ex capo dello Stato italiano per la terra di Joyce e Yeats. A parte ciò, si sa pochissimo di questo libro che abbraccia la storia di un protagonista della vita politica italiana. Si sa, per esempio, che la prefazione è stata scritta dal governatore della Banca d' Italia, Antonio Fazio. Fazio fa un ritratto politico di Cossiga. Lo descrive come uno che ha «la capacità di antivedere», un modo erudito e classicheggiante per dire che è dotato di fiuto politico. Una capacità mostrata, scrive Fazio, all'indomani della caduta del Muro di Berlino quando l'allora Presidente Cossiga mise in guardia la classe dirigente dicendo che il crollo del comunismo con la fine dei blocchi non avrebbe portato a una pacificazione ma sollevato altri enormi problemi.



Nota: bozza di proposta per una soluzione definitiva del problema della mafia economica e della criminalità ad essa connessa

- Si crea la moneta popolare e si mette fuori corso quella privata (tipo le promissory notes - banconote - della privata Banca d'Italia)
- si permette la conversione della vecchia moneta in quella nuova purché si possa dimostrare la lecita provenienza della vecchia moneta posseduta (vale anche per i titoli di Stato)
- si sequestrano, a livello mondiale, tutti i conti off-shore
- si applica una politica di conversione dei valori off-shore ispirata a quanto sopra
- quanto avanza (cioè i conti di cui non è possibile determinare la lecita provenienza) viene ridistribuito a cominciare dai più poveri

Problema risolto.